:::::
   
Logo TusciaWeb Tutto low cost
Archivi | Mailing | Contatti | Primo | Provincia | Roma Nord | Lazio | Sport | Flash | Forum |Dossier | Corriere2000|
Tutto viaggi


L'angolo della psicologia
La comunicazione nella prima infanzia
di Angelo Russo
V
iterbo - 3 giugno 2010 - ore 4,45

Angelo Russo
- Un bambino può insegnare sempre tre cose ad un adulto: a essere contento senza motivo, a essere sempre occupato con qualche cosa, e a pretendere con ogni sua forza quello che desidera. Paulo Coelho, da “Monte Cinque”.

Essere genitore è, per antonomasia, il mestiere più difficile del mondo, non esiste una scuola che insegna a farlo.

Quest’affermazione, ormai ridondante, si ripete a ogni occasione che si parla di bambini. Un po’ perché è vero, ma, diciamola tutta, anche perché ci mette al riparo dalle frustrazioni correlate agli eventuali insuccessi che potremmo sperimentare in questa importante e complicata esperienza.

Penso a Giovanna con una sorta di tenerezza: trentasei primavere alle spalle, insegnante, una figlia di due anni, da pochi giorni ha partorito due bellissimi gemelli, maschi.

Lei e Giancarlo, il marito, avevano desiderato un altro figlio ma ritrovarsi all’improvviso con tre piccoli da accudire, di là dalla piacevole sorpresa ha scaturito una sorta di rivoluzione familiare. E per fortuna che ci sono i quattro nonni, ancora “giovani e aitanti” a dare una mano.

E poi negli ultimi quarant'anni le cose sono cambiate rispetto allo sviluppo e all’educazione dei figli. C’è stato un vero rinnovamento nella percezione sociale dell’infanzia: il bambino non più proprietà quasi esclusiva della famiglia e dei genitori che lo allevano, ma entità entrata a pieno diritto nella sfera del pubblico. A occuparsi della sua educazione sono anche la società e lo stato.

Non solo come preparazione propedeutica alla futura vita scolastica ma come formazione autonoma a tutti gli effetti. Il primo passo di questo percorso risale al 6 dicembre 1971, quando la legge numero 1044 istituì gli asili nidi.

L’articolo 1 cita testualmente:
“L'assistenza negli asili nido ai bambini di età fino a tre anni nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico. Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l'accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale.”

Un ulteriore importante aiuto, per la sua crescita armonica, viene dal bambino stesso. E non è una battuta. Sin dalla nascita il “cucciolo d’uomo” è già strutturato per interagire con l’adulto. Il bambino ancor prima di imparare a parlare comunica i propri bisogni, desideri, sensazioni, attraverso una comunicazione non verbale, rivolta a chi si prende cura di lui. Basta porre la giusta attenzione.

Nella prima infanzia i sistemi di comunicazione più importanti sono: il pianto e il sorriso. Il pianto serve per richiamare l’attenzione della madre e iniziare con lei l’interazione. Vi sono tre tipi distinti di pianto: il pianto da fame, il pianto per rabbia e il pianto di dolore.

In genere le madri sono capaci di distinguerli: se il bambino smette di piangere per riprendere fiato, in genere si tratta di un pianto da fame. Il pianto di dolore ha delle caratteristiche particolari che garantiscono l’intervento immediato della madre: se tra gli strilli c'è una fase di silenzio della durata di circa due secondi è possibile che il pianto sia sostenuto da uno stimolo doloroso, è un pianto disperato, inconsolabile, che può durare a lungo, provoca sudorazione e rossore del viso.

Il pianto per rabbia è particolare, può capitare anche che il bambino resti in apnea per qualche secondo, di solito è agito quando il bambino si sente indifeso e scoraggiato e quando i tentativi per esprimere i suoi bisogni sono ignorati o addirittura puniti.

Il bambino tramite il suo tipo di pianto è già equipaggiato, entro certi limite, per prevedere il grado di attenzione che otterrà. Le sequenze del pianto hanno una certa variabilità da individuo a individuo, per questo è probabile che una madre risponderà in modo diverso a figli diversi. Questo dimostra che i bambini anche se molto piccoli sono capaci di determinare il comportamento dei genitori.

Un neonato che, per esempio, abbia un ritmo di pianto irregolare (per problemi cerebrali) invierà segnali che la madre non sarà capace di interpretare adeguatamente, dando origine a una relazione madre - bambino disturbata, che in passato, erroneamente, è stata addebitata a mancanza di cure materne.

Il bambino alla sua nascita non è una “tabula rasa” e il disturbo di comunicazione, in questo caso, è da imputare più al neonato stesso che non alla madre. Rispondendo al figlio che piange la madre gli fornisce una esperienza concreta, e ben presto grazie allo sviluppo cognitivo sarà in grado di anticipare il risultato della propria azione utilizzando, di conseguenza, il pianto in modo finalizzato e intenzionale.

Il sorriso è l’altro sistema di comunicazione fondamentale nella prima infanzia, esso compare nella prima o anche nella seconda settimana di vita. Inizialmente il neonato sorride per stati di benessere, dal secondo mese in poi comincia a sorridere a stimoli interni, visivi e auditivi, dal quarto mese in poi diventa selettivo. Molti studi sono stati eseguiti per stabilire se il sorriso ha una forma di risposta sociale, per capire se sorride unicamente a stimoli umani o ve ne siano altri capaci di suscitarlo.

I primi ricercatori sostennero che il viso umano fosse lo stimolo necessario e sufficiente per evocare il sorriso. In seguito fu sperimentato che nelle prime settimane di vita era sufficiente una maschera con due cerchietti al posto degli occhi a evocare la reazione di benessere. Il bambino sembra disposto sin dalla nascita a rispondere a particolari stimoli che sono i più caratteristici dell’essere umano.

Tramite il sorriso il bambino richiama l’attenzione e può instaurare la sequenza interattiva con la madre. Sorridere può essere considerato un segnale innato che serve a garantire le cure degli adulti. Sappiamo inoltre che, anche, imput non umani possono evocare il sorriso il quale può essere prodotto ulteriormente da manifestazioni di riconoscimento di oggetti noti: si sorride a oggetti familiari, in un crescendo, fino a quando, infine l’eccessiva familiarità farà scemare la capacità di suscitare sorrisi.

Uno degli strumenti più precoci dell’interazione madre – figlio è lo sguardo. Il piccolo è attratto da diverse forme, dai movimenti, dai contrasti e dalla tridimensionalità.

Lo sguardo può anche rappresentare un piccolo test per stabilire l’integrità neurologica del neonato: un campanello d’allarme può essere rappresentato dal fatto che il piccolo lattante non riesca a fissare lo sguardo dell’osservatore.

Angelo Russo


Copyright 2010 TusciaWeb - Chi siamo

Condividi