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Tarquinia - La presentazione nella sala Sacchetti sabato 27 marzo alle 17,30
Il cinghiale che ride, un libro sull'arte venatoria
Viterbo - 26 marzo 2010 - ore 16,30

Riceviamo e pubblichiamo - Parlare di storia e non di costume è un vezzo che la società tarquiniese di arte e storia non ha mai avuto. Nei bollettini annuali e nelle pubblicazioni che stampiamo per i nostri soci, c’è ampia traccia di ciò.

Quest’anno, con il patrocinio della Regione Lazio, abbiamo voluto ricordare non il nobile sport della caccia, che quello, dalle nostre parti, si è esaurito con le prime bonifiche degli anni ’20 del secolo scorso, ma l’altro delle crude “cacciarelle” al cinghiale, nelle quali l’abbattimento del “feroce animale” viene esaltato quale atto coraggioso, quasi eroico.

Sabato 27 marzo, alle 17,30 nella sala Sacchetti della società tarquiniense d’arte e storia, in via dell’Archetto 4, avrà luogo la presentazione del libro “Il cinghiale che ride” tratto dal diario di Isauro Pontani, sulle cacciate tarquiniesi.

Verri, “solenghi”, della primigenia razza autoctona, pettorale largo, masse muscolari potenti, robuste zanne a falce, pronte a scavare tuberi e radici, ma anche a sbudellare cani e uomini che ne ostacolassero la corsa e ne minacciassero l’esistenza, rivivranno nel racconto del nostro diarista.

Un libro vivo, vero, pieno di fotografie d’epoca, denso di racconti, di episodi, di “cacciarelle” al cinghiale: vere e proprie sagre paesane che muovevano popolo e popolino, per lungo tempo attese, sempre precedute per giorni da riunioni nei caffè, nei circoli, nelle osterie, da scelte litigiose sul “bracciere”, sulle poste, dove bravura e censo giocavano alla pari; con le preliminari ricerche degli organizzatori sulle zone da battere, per la ricerca “dell’usta” – pista ed orme di passaggio dell’animale - la scelta dei battitori, la formazione delle squadre, la selezione dei cani per le “canizze” e, poi, foto di gruppo con, ai piedi, gli animali abbattuti, e al lato la lunga tavolata per le pastasciutte, per il sanguinaccio con i fegatelli, per i fiaschi di vino, sempre rossi, tracannati…

La maremma della quale Isauro Pontani racconta è, ancora, quella, che non c’è più, del latifondo, delle forre, delle macchie, con boschi e sottoboschi impenetrabili; la maremma di prima delle bonifiche; la maremma “amara” evitata da tutti, per la maledizione della malaria, del freddo notturno e delle polmoniti; la maremma dei campagnoli, ultimi degli ultimi; quelli destinati a scontrarsi con la malaria e quasi sempre a soccombere per presidiare, in capanne più o meno precarie, le proprietà terriere, il bestiame, le greggi di altri.

Poesia e dramma traslucidano da quei diari fino a noi: basta pensarci, parlare con i vecchi per ricordare. Un buon libro.

Società tarquiniese di arte e storia

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