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Tribunale - Ragazze ridotte in schiavitù - I pm ripercorrono le indagini e avanzano le richieste di pena per gli imputati
"Dopo la violenza, Ankuta rimase incinta"
Viterbo - 14 novembre 2010 - ore 2,10

Il pm Stefano D'Arma, che ha condotto le indagini insieme al sostituto procuratore Fabrizio Tucci
Gli avvocati Marco Russo e Giuliano Migliorati, per Artur Sulejmani e Faisal Moltif
L'avvocato Virna Faccenda, difensore di Viviana Barba Nieto
L'avvocato Maria Rita Sermoneta, difensore di Monica Rosa Velez Montermozo
Gli avvocati Natale Perri e Mario Murano, difensori di Samuel Kola
Gli avvocati Roberto Delfino (per i due clienti delle ragazze), Giuliano Migliorati e Marco Russo
I giudici Ernesto Centaro e Franca Marinelli
La corte
- Dodici anni di carcere. E' la pena richiesta dai pm Stefano D'Arma e Fabrizio Tucci per Artur Sulejmani, uno degli imputati al processo per la riduzione in schiavitù di due minorenni romene.

I fatti risalgono al febbraio 2005, quando le ragazze, Livia e Ankuta, 15 e 16 anni, furono portate in Italia con la scusa di lavorare in una pizzeria, vendute ad alcuni dei 12 imputati e costrette a prostituirsi.

Una vicenda dolorosa. Che, secondo la pubblica accusa, ha visto le due adolescenti "comprate per mille euro ciascuna, stuprate, private dei documenti, spostate da un alloggio all'altro come pacchi postali, picchiate e minacciate di morte".

L'inchiesta è stata ripercorsa passo passo dai pubblici ministeri. Dalle prime, agghiaccianti intercettazioni, in cui Livia veniva descritta come "una puttana bambina" che rendeva poco, ai vari episodi di violenza sessuale. Il primo all'arrivo di Livia e Ankuta in Italia. Gli altri avvenuti successivamente, in casa di uno degli imputati, Hicham Moltif, e al Palazzaccio di via Cattaneo, dove le baby prostitute ricevevano i clienti.

Abusi che, ha raccontato Ankuta, avvenivano senza precauzioni. Tant'è che la ragazza era rimasta incinta del suo aguzzino Sulejmani. "Quando glielo dissi Artur era contento - è scritto nei verbali contenenti le dichiarazioni di Ankuta, letti dai pm -. Voleva tenersi il bambino per costringermi a rimanere qui e continuare a prostituirmi".

Le ragazze hanno raccontato di non poter uscire di casa, di essere costrette a vendersi senza prendere un euro. I proventi della prostituzione dovevano essere spartiti tra Sulejmani, il suo "secondino" Samuel Kola, il marocchino Faisal Moltif (che però, come da lui stesso raccontato in aula, non ricevette un soldo) e la colombiana che affittava gli appartamenti al Palazzaccio, cui spettava il 50 per cento dei guadagni.

Rivelazioni che hanno spinto i sostituti procuratori a formulare un'accusa più pesante, quella di riduzione in schiavitù, che comprende anche il reato di sfruttamento della prostituzione.

Il processo si regge tutto sulle testimonianze, in aula, di Livia e Faisal (l'unico comparso davanti ai giudici), e sui verbali di interrogatorio degli imputati e di Ankuta. Per quest'ultima, della quale si è persa ogni traccia, gli avvocati hanno chiesto l'inutilizzabilità delle dichiarazioni e proposto ricerche più approfondite. Un'eccezione che la corte, composta dai giudici Ernesto Centaro e Franca Marinelli e dalla giuria popolare, ha però respinto.


Le richieste di pena dei pubblici ministeri

Oltre ai 12 anni per Sulejmani, i pm hanno chiesto 11 anni per "il suo vice" Samuel Kola. Otto anni per Octavian Nicolae Ilie, che avrebbe prima venduto e poi ricomprato Livia. Quattro anni e sei mesi per Iosif Dreghigi, che ospitò e controllò le ragazze per un periodo, oltre a ricevere una parte dei ricavi della prostituzione.

Quanto ai fratelli marocchini Moltif, l'accusa ha chiesto otto anni e sei mesi per Hicham (che deve rispondere della presunta violenza sessuale su Livia a Montefiascone e su Ankuta al Palazzaccio), e quattro anni e sei mesi per Faisal. Considerando, soprattutto, l'atteggiamento di collaborazione del ragazzo. L'unico che ha risposto alle domande dei pm in aula.

Per tutte e tre le donne alla sbarra, Viviana Barba Nieto, Nereyda Ruiz Calcedo e Monica Rosa Velez Montermozo, la richiesta è stata di quattro anni di reclusione, per la loro funzione di "custodi" delle ragazze. Con l'aggiunta, solo per la Montermozo, di una multa di 10mila e 400 euro.

E infine sei mesi di reclusione e 6mila euro di multa per i clienti di Livia e Ankuta, sorpresi dalla squadra mobile nel blitz del 23 marzo 2005, che portò alla liberazione delle ragazze.

Per Sulejmani, i sostituti procuratori hanno chiesto l'assoluzione dall'accusa di lesioni. Ma solo per un errore formale. Perché "non è stato messo agli atti il certificato medico con la prognosi di 15 giorni per Ankuta", che attesterebbe che la ragazza era stata picchiata.

L'unico per il quale è stata chiesta l'assoluzione dall'accusa di riduzione in schiavitù è Ioan Genu Muntean, "intervenuto nel primo acquisto delle ragazze - sottolineano i pm -, ma rimasto poi fuori dalla vicenda".

La seduta è stata aggiornata all'11 dicembre, per le repliche degli avvocati.


Processo - Ragazze ridotte in schiavitù - Il racconto di uno degli imputati
"Volevano picchiarla con una trave di legno"
di Stefania Moretti
Viterbo - 12 ottobre 2010 - ore 3,10


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