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Viterbo - Francesco Ciprini, amareggiato, ripercorre i primi tre anni di storia del Pd
"Un partito inerme e chiuso in se stesso"
Viterbo - 14 settembre 2010 - ore 13,15

Francesco Ciprini
Riceviamo e pubblichiamo - La grande confusione e le recenti vicende che stanno caratterizzando il Pd locale e nazionale mi spingono a fare qualche considerazione.

La cosa che più salta agli occhi è la totale discrepanza fra le intenzioni del 2007 e le cose fatte fino a oggi e il malcontento degli iscritti e la disillusione dei cittadini che ci hanno votato si toccano con mano da tempo.

Avevamo deciso di creare un partito forte, autonomo, con un profilo riformista elevato e con un’ambizione di ampio respiro di rappresentare la società italiana nel suo complesso, ora ci ritroviamo un partito incapace di definire se stesso se non tramite una politica delle alleanze: importanti, fondamentali, ma è impossibile decidere con chi elaborare una proposta politica se prima non si sa bene chi siamo e dove vogliamo andare.

Avevamo pensato un partito che nasceva con l’incontro fra culture diverse. A distanza di qualche anno, si vengono a verificare a tutti i livelli dinamiche che ricalcano le appartenenze passate – legittime e radicate quanto si vuole, ma avevamo deciso di fare altro.

Quante altre volte i cronisti locali dovranno descrivere le nostre riunioni come “quella dei Ds e quella della Margherita” per capire che siamo ancora preda di logiche che sono il contrario di quanto avevamo detto di voler fare?

Avevamo deciso di lanciare una sfida di governo per il nostro territorio e il nostro Paese e invece su un tema fondamentale di gestione del territorio e di tutela della qualità della vita come la gestione del ciclo idrico ci siamo divisi mostrando il peggio della politica.

Avevamo deciso di creare il Pd non per allungare la vita della classe dirigente – anche a livello locale - ma per innestare forze nuove all’interno di gruppi dirigenti che si pensava avessero capito di non essere più autosufficienti.

Le aperture verso i giovani, le categorie produttive, il mondo associativo, tutto lo sforzo profuso ad aprirci verso l’esterno è stato vanificato in pochi mesi, il credito che avevamo acquisito nei confronti di queste diverse realtà (credito in termini di fiducia, interesse, molto spesso anche tradotto in consenso politico ed elettorale) non siamo stati in grado né di farlo fruttare né tantomeno di investirlo.

Ripensando ad alcune affermazioni del passato, sorge oggi il dubbio che chi diceva che al Pd mancasse l’amalgama intendeva forse dire che non tutti erano ancora stati omologati, normalizzati e anestetizzati.

Serve altro, serve essere un partito in cui non ci sono buoni e cattivi con tre sottospecie diverse a seconda della corrente di appartenenza, un partito in cui ci sia il coraggio di prendersi le responsabilità per gli errori commessi oggi e ieri e il giorno prima di ieri.

La forza di una guida politica e di una linea politica passano anche da questo.

L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto è il miglior viatico per la perdita di credibilità, di autorevolezza e di conseguenza di consenso. O davvero i nostri dirigenti pensano che dopo lo spettacolo indecente offerto su Talete, ci sia un cittadino viterbese pronto a credere che il Pd attuale rappresenti una valida alternativa di governo?

Mettiamo in fila un po’ di storia di questo 2010.

Il Pd viterbese si è spaccato in tre momenti significativi, con modalità diverse, con raggruppamenti di truppe diverse, ma offrendo lo stesso spettacolo poco edificante: sull'individuazione del candidato alla segreteria regionale, avventura terminata poi in modo molto poco onorevole; la direzione provinciale si è poi divisa nel metodo e nel merito sulla candidatura alla presidenza della Provincia e infine Talete: la goccia che ha fatto traboccare il vaso verrebbe da dire, se non fosse che l’acqua pubblica è materia troppo importante per essere campo di battaglia fra fazioni.

Ci ritroviamo un partito che – avvertendo consapevolmente una marginalità sociale, culturale e politica crescente – pensa che piuttosto che affrontare la sfida apertamente sia meglio rinchiudersi e ritrovare appartenenze e schemi mentali antichi - e come tali magari hanno pure un fascino - ma che avevamo deciso di consegnare alla storia sapendo che non sarebbero più state al passo coi tempi nello sforzo di interpretare la variegata realtà italiana.

Un partito che si rinchiude in se stesso e scivola sempre più a sinistra, con l’idea in una prospettiva di alleanza di assegnare all’Udc il compito di coprire il centro che stiamo lasciando sgombro, si snatura, non fa un favore a se stesso, non fa un favore ai partiti con cui intende allearsi e non fa un favore al Paese.

Non sono mai stati miei riferimenti politici, nonostante i rapporti personali, neppure ai tempi della Margherita, ma siamo riusciti a far uscire da questo partito Francesco Rutelli, Paola Binetti, Enzo Carra e Renzo Lusetti nel più assordante dei silenzi.

Non che io sia nostalgico, ma un partito che assiste passivo alla fuga di uno dei fondatori e di tre personalità del mondo cattolico impegnato in politica non manda un segnale di attenzione nei confronti di quel mondo né tantomeno rassicura i presenti – quelli che sono rimasti. Un partito che voglia rappresentare tutte le culture che lo ispirano, un partito che mira ad ampliare i propri consensi non dovrebbe lasciar andare nell’indifferenza chi rappresenta una parte importante del nostro Paese.

Anche se tanti possono non condividere i loro ideali, non possiamo dimenticare di essere nati per rappresentare anche quelli.

Siamo diventati un partito che assiste inerme in questo territorio al progressivo abbandono di battaglie che avevamo detto di voler condurre e che rinuncia ad elaborare un’idea o un progetto di governo, essendo troppo preso a discutere e litigare per fazioni. Se solo in tutti questi anni lo stesso sforzo profuso in conte interne lo avessimo adoperato in una logica di lavoro di squadra per iniziative nell’interesse dei cittadini i risultati elettorali sarebbero stati diversi.

Mettiamola così,in uno sforzo di ottimismo: non è che non ci siano le capacità o le energie, è che non sono state finora ben incanalate nella corretta direzione.

Non so se affermare questo vuol dire essere non allineati o meno. Tra l’altro, nella storia del secolo appena trascorso, i non allineati erano quel gruppo di paesi che a partire dal 1961 cercò dentro l’Onu di creare un terzo polo fra mondo libero occidentale e mondo comunista a guida Urss. Peccato che il leader principale e ideatore di questo polo di paesi non allineati fosse il maresciallo Tito e io che – a differenza di altri- non commemoro Togliatti, ho una seria difficoltà culturale nel ritrovarmi in questa definizione dato l’ingombrante precedente storico.

Personalmente – estremamente deluso dalle vicende locali e nazionali, come moltissimi altri – ero in posizione di stand by, come osservatore e non attore rispetto alle vicissitudini politiche. Avendo la fortuna di non guadagnarmi da vivere grazie alla politica, mi sono dedicato finora ad altre attività, tra l’altro estremamente più piacevoli.

Però so di aver avuto molto da questo partito nel corso degli anni, in termini sia umani che di ruoli ricoperti in virtù della fiducia ricevuta da tanti. E quando uno riceve molto poi è corretto ricambiare. E siccome una delle qualità – o difetto- di essere giovani è anche la testardaggine, e siccome lo avverto come responsabilità personale per gli impegni assunti in passato, non voglio rinunciare a fare qualcosa per realizzare ciò in cui credo - e in cui hanno creduto in tantissimi.

In questo partito ci ho creduto fin dall’inizio, non mi ci sono ritrovato per caso o soltanto in virtù di una precedente appartenenza: avevo pensato, come tanti ragazzi e ragazze, che sarebbe stato l’elemento politico in grado di invertire la rotta sia alla politica sia al Paese. E piuttosto che rassegnarmi inerte a veder naufragare il progetto in cui ho creduto, ho deciso di spendermi a fianco di quel nutrito gruppo di dirigenti locali, di provenienza e cultura diversa dalla mia.

Perché credo ancora che l’idea che aveva ispirato la nascita del Pd possa essere recuperata, perché nel gruppo eterogeneo che ha sottoscritto quel documento, mi pare di trovare quella voglia di ritornare allo spirito originario di sintesi feconda fra culture diverse che dialogano e quella serenità nell’analisi delle responsabilità che reputo necessari per ripartire tutti insieme in modo diverso e stavolta finalmente davvero democratico.

Francesco Ciprini


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