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L'alambicco di Antoniozzi - La kermesse non ha ricevuto finanziamenti e non si farà più
Il Festival Barocco chiude i battenti
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 15 settembre 2010 - ore 2,30

Alfonso Antoniozzi
- Dopo quarant'anni di onorata attività, il Festival Barocco di Viterbo quest'anno chiude i battenti causa mancati finanziamenti da parte di quelle istituzioni che, fino allo scorso anno, l'avevano mantenuto in vita.

Personalmente sono sempre rimasto piuttosto perplesso sull'idea di aver voluto fondare in terra medievale un festival che con il territorio che lo ospitava aveva davvero poco a che spartire (sarebbe come tenere un festival di musiche dell'alto medioevo a Noto), ma fatta salva questa eccezione di merito, va detto che il festival ha portato a Viterbo e in provincia complessi orchestrali, gruppi strumentali, direttori d'orchestra e solisti per cui gli appassionati della musica barocca non esiterebbero a prendere un aereo per Londra o Amsterdam, paesi in cui questo genere musicale è apprezzatissimo e molto seguito dal pubblico.

Inoltre, la programmazione del festival è sempre stata molto intelligente, unendo ripescaggi di composizioni dimenticate a classici del grande repertorio eseguiti con orchestre di strumenti originali.

Forse è stata proprio l'intelligenza della programmazione a decretarne la fine: se avessero messo in scena stupidaggini o, come in maniera assai scaltra ha cominciato a fare il Tuscia Opera Festival, se avessero invitato sui loro palcoscenici l'ultimo gusto del mese molto di moda perché molto pubblicizzato da stampa e televisioni forse, e dico forse, avrebbero trovato uno straccio di amministratore disposto a difenderne la sopravvivenza.

Per essere più chiari: diocaro, ma che ce frega de Bacche e Endele sonate dall'orchestra de specialiste che manco le conoscemo. Noaltre volemo da veda Allevi che è tanto caruccio co' quelle capelle ricce e poe sta sempre ma' la televisione.

Prova ne sia che il concerto di Allevi fa il tutto esaurito, mentre quello di Bollani no.

O tempora o mores, dicevano i latini. Ossia: che tempi, che costumi! (Traduco per evitare che le generazioni di appassionati di Amici di Maria De Filippi pensino che stia sragionando e si domandino cosa c'entri adesso il tempo delle more).

Già Oscar Wilde diceva che non è l'arte che deve rendersi popolare, ma è il pubblico che deve sforzarsi di diventare artistico. Parole al vento.

I teatri, le istituzioni concertistiche e ovviamente le amministrazioni, in questi periodi grami e con la complicità della mancanza di fondi stanno facendo l'errore che da sempre un teatrante onesto non può permettersi di fare: andare incontro al famigerato gusto del pubblico.

La scomparsa del Festival Barocco è un lutto gravissimo per la vita culturale del nostro territorio: non dimentichiamoci che il decentramento degli spettacoli portava capolavori suonati da prestigiose orchestre in paesi dove ora potrà finalmente imperare sola, sovrana e senza paura di alcun taglio nei finanziamenti, la sagra della frittola.

Cultura anche quella, per carità. Ma la frittola uno se la può anche fare in casa: i concerti Brandeburghesi suonati dall'orchestra di St. Martin in The Fields e diretti da Trevor Pinnock, no.

Disgraziatamente, anche la televisione sembra aver abdicato da tempo al suo ruolo di formazione: fino a trent'anni fa ospitava il meglio del nostro spettacolo, ora grazie alle ferree leggi dell'auditel che ovviamente tengono conto del gusto del pubblico, ospita il peggio e ospitando il peggio forma il pessimo.

Chi abbia avuto la ventura di piazzarsi davanti allo schermo televisivo fino agli anni ottanta vedeva mostri sacri del cinema, del teatro e dello spettacolo, poeti, intellettuali. Si nutriva di cultura intelligente divertendosi e, allo stesso tempo, distillava questo semplice assioma: per fare spettacolo e per arrivare in televisione bisogna essere davvero molto bravi.

Ora invece siamo assillati quotidianamente da persone di poco talento che definiscono fenomeni altre persone di ancor meno talento, e chiunque abbia un minimo di sale in zucca capirà da solo che i giovani, credendo che il poco talentoso giovinotto o la poco talentosa signorina definiti fenomeno siano in realtà un punto d'arrivo quando sono a malapena un punto di partenza, dedurranno che per fare spettacolo basti davvero poco.

In capo a cinquant'anni, i palcoscenici italiani ospiteranno gente che negli anni sessanta avrebbe, forse, vinto una puntata radiofonica della "Corrida".

Ricordando che i posteri amano le facili definizioni: dopo gli anni della ricostruzione, del boom, dell'amore libero, degli yuppies, del crollo dei regimi totalitari, non ho dubbi che quelli che stiamo vivendo verranno, in futuro, chiamati "gli anni delle mezzeseghe".

Per tornare velocemente al nostro territorio e chiudere questo articoletto: se il Festival Barocco piange, le altre realtà culturali di Viterbo e della sua provincia certo non ridono.

Sta a noi cittadini difendere a spada tratta il nostro diritto di diventare persone migliori: ogni silenzio relativo alla morte di un'iniziativa culturale è un silenzio vergognoso e colpevole.

Vale la pena ricordare sempre che anche scegliere di non far nulla significa, come la storia ci ha desolantemente dimostrato, aver comunque fatto una scelta e doverne pagare le conseguenze.

Alfonso Antoniozzi


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