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Festival Barocco e dintorni - Gian Maria Cervo animatore di Quartieri dell'arte ad Antoniozzi
Caro Alfonso, io vorrei trovare pace ma…
Viterbo - 21 settembre 2010 - ore 3,50

Gian Maria Cervo
Riceviamo e pubblichiamo - Alfonso Antoniozzi è una persona dolce e gioviale oltre ad essere un artista colto e sensibile.

Riesce ad esserti simpatico perfino quando esprime pareri che non sono esattamente coincidenti con i tuoi perché ha il garbo, il rispetto e la capacità di ascolto che poche persone hanno. E sia chiaro, lo dico subito: io in una repubblica viterbese delle arti con Alfonso Antoniozzi presidente ci abiterei più che volentieri.

Mi permetto di buttare giù questa favoletta perché sono stato menzionato (in realtà è stato menzionato “Quartieri dell’Arte”), sia pure marginalmente, nell’ultimo alambicco di Alfonso che affrontava la spinosa questione Festival Barocco e il problema di una comunicazione forte e coordinata delle iniziative di cultura a Viterbo, problema che faccio anche mio.

Allora mettiamo che si faccia questa repubblica viterbese delle arti con Alfonso Antoniozzi presidente. Io che faccio? Accetto subito, come ho già detto, felicissimo di fare il cittadino. E però che faccio il primo giorno? Vado a trovare Antoniozzi e gli dico: “Alfo’ mo’ noi abbiamo creato questa repubblica delle arti con te presidente, ma che significa repubblica, che significa libertà, che significa rispetto, dignità in questa repubblica? E che significa arte? Dobbiamo fare della buona comunicazione ma che significa al giorno d’oggi buona comunicazione? Quale concetto di buona comunicazione si può esprimere in proporzione alla nostra epoca?

Questo lo dobbiamo sapere perché come diceva John Kennedy “Non possiamo sapere dove andiamo se non sappiamo dove siamo stati”.

Ora, a proposito di libertà e pari dignità, vi voglio raccontare un fatterello un po’ misterioso che mi è successo un po’ di giorni or sono. La mattina mi chiama un imprenditore di un’agenzia pubblicitaria locale, imprenditore che oltretutto fa anche il consigliere comunale, e mi dice che il nostro poster, quello di “Quartieri dell’Arte” già installato dalla sua agenzia in Piazza del Plebiscito, va rimosso perché all’improvviso il Comune di Viterbo non glielo autorizza più.

E, guarda caso, la cosa succede il giorno dopo la nostra conferenza stampa locale in cui io avevo detto che in un’epoca di crisi non è etico sostenere fino all’eccesso iniziative che propongono una visione pagana dell’arte. Che cos’è il paganesimo? Nel tentativo disperato di afferrare la divinità, di impadronirsi della divinità, si crea un idolo, un’apparenza non reale priva di verità.

La stessa cosa avviene rispetto all’arte quando, per esempio, si fanno allestimenti senza consapevolezza, dalla serie B alla serie Z, di opere di repertorio o quando si fanno programmazioni paracule e disorganiche al tempo stesso. Ma torniamo alla vicenda del poster. Mi è dispiaciuto perché oltretutto quest’anno per la nostra comunicazione avevamo scelto una bella e commovente immagine di Carlo Vincenti e ci sembrava di aver fatto un bell’omaggio alla città.

Per carità, la vicenda della rimozione del poster può benissimo essere una coincidenza e sicuramente sulla comunicazione ho le mie colpe, io non spendo tutti i soldi che spende il Tuscia Operafestival in pubblicità. E però però però… ”Quartieri dell’Arte” è il festival viterbese che riceve le maggiori attenzioni dalla più accreditata stampa nazionale (nessun altro in città può vantare gli spazi che noi abbiamo e abbiamo avuto su “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “La Stampa”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Messaggero” ecc. ecc.), l’unico che riesce a portare le prime firme della critica teatrale in città.

Negli ultimi tre anni abbiamo ricevuto solo elogi e recensioni fantastiche. Perché? Perché il primo obbiettivo che ci poniamo è quello di fare una ricerca seria e coerente. E rispetto alla comunicazione (anche quella pubblicitaria) abbiamo questo tipo di atteggiamento: la comunicazione è parte del lavoro dell’artista.

Non può essere trascurata in nessun modo. Ora però quando si passa a elaborare la politica del festival io mi dico, facciamo così: i sostegni che ci arrivano da Regione, Ministero e coproduzioni varie noi li impieghiamo per la ricerca e quello che ci viene dall’amministrazione comunale -dovrebbe essere interesse dell’amministrazione comunale dare massima visibilità a un festival come il nostro- noi lo impieghiamo in pubblicità.

Ma capirete che in realtà, noi in pubblicità spendiamo ben più dei miseri duemila euro che l’amministrazione comunale ci assegna. Ma si dovrebbe spendere ancora di più. Duemila euro dati contro i quarantamila? ottantamila? euro che vengono assegnati dallo stesso Comune ad iniziative con una presenza evidentemente molto ma molto minore della nostra sulle grandi testate nazionali.

Perché l’amministrazione comunale non ci fornisce i mezzi e gli spazi per comunicare? Perché esiste una così forte sproporzione nel finanziamento delle iniziative? Si potrebbe anche parlare del misterioso silenzio e della curiosa e praticamente totale inattività del sindaco Giulio Marini rispetto al progetto che stavamo sviluppando lo scorso anno col Festival di Avignone, com’è noto uno dei maggiori festival del mondo, festival col cui dipartimento internazionale siamo ancora in contatto.

Il sindaco ha preferito parlare di accordi fatti da altre realtà con località della provincia americana. Ma non mi interessa tanto questo quanto mettere in evidenza un altro aspetto della comunicazione legata all’arte.

Ora, ho già detto che oggi la comunicazione nell’arte, il cosiddetto packaging, è ormai parte integrante del lavoro artistico, non perché bisogna essere furbi a tutti i costi ma perché la comunicazione ha raggiunto una complessità tale che la forma è inseparabile dal contenuto, la forma è il contenuto.

Questo però vuole anche dire che una comunicazione priva di contenuti, a maggior ragione se quantitativamente importante, può arrivare a denunciare la trivialità della manifestazione che dovrebbe pubblicizzare e, fatto decisamente più grave, a danneggiare l’immagine esterna della città che la ospita.

Insomma, credo che sulla relazione esistente tra cultura, pubblicità dell’evento culturale e fondi pubblici vada aperta una riflessione seria, rigorosa e approfondita.

Questo non tanto per creare una serie A e una serie B degli eventi culturali (anche per quello, si sa che i campionati equilibrati sono più divertenti) ma soprattutto perché in ambito culturale le iniziative di eccellenza hanno bisogno di strategie promozionali completamente diverse rispetto a quelle che vanno attuate per iniziative che si rivolgono esclusivamente al pubblico locale.

I criteri per individuare le eccellenze ci sono: curricula e credibilità dei direttori artistici delle iniziative, considerazione delle iniziative da parte delle maggiori testate giornalistiche nazionali e internazionali, presenza di produzioni o prodotti delle iniziative nelle programmazioni di istituzioni culturali di indiscusso prestigio internazionale, lavoro delle iniziative sulla crescita culturale e civile del territorio (per esempio l’idea di “Caffeina” come festival-ambiente o scusate se mi autocito, il recupero di tracce culturali nascoste, occultate o rimosse in città effettuato da “Quartieri dell’Arte”).

E’ chiaro che poi chiunque, qualunque cosa ha diritto di cittadinanza e non mi sogno nemmeno di metterlo in discussione. Ma bisogna fondare una politica delle arti, della cultura basata su un principio di giustizia, di autenticità, di onestà intellettuale.

E’ importante dire cosa è cosa. E qui voglio fare una precisazione: se io critico l’amministrazione comunale non lo faccio su basi politiche ma su basi tecniche e etiche.

“I am what I am” per dirla alla Gloria Gaynor, ma non ho tessere di partito, non mi riconosco in alcuna posizione politica precostituita perché se lo facessi abdicherei dal mio ruolo d’artista che è quello di lavorare sulla novità e sulla rottura della routine e degli schemi.

E quindi, per esempio, trovo molto giusto che il presidente Meroi ricordi e evidenzi le responsabilità dell’amministrazione provinciale precedente rispetto al rischio di cancellazione del Festival Barocco, se queste ci sono state. Perché i fatti vanno restituiti nella loro verità nei minimi dettagli. Perché dimenticare è sinonimo di ingiustizia.

E dimenticando si creano le condizioni per cui un festival con quarant’anni di onorata attività come il Barocco trovi la morte in favore di, per citare un illuminante articolo del Corriere della Sera apparso qualche giorno fa, “manifestazioni musicali di livello decisamente mediocre”.

Allora, caro Alfonso, mi farebbe piacere che tu facessi il presidente della repubblica viterbese delle arti e mi farebbe piacere che tutti insieme lavorassimo per trovare la pace tra gli orti e gli orticelli della cultura viterbese come li chiami tu, ma una pace basata sulla giustizia nella ricognizione e ricostruzione dei fatti.

Perché Alfo’ come disse il grande Eduardo “io vulesse truvà pace ma na pace senza morte”.

Gian Maria Cervo


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