- Padri e figli. E legami profondi e silenziosi. Il Trasporto della macchina del 2010 è anche questo.
Sono gli occhi del presidente del Sodalizio dei facchini, Massimo Mecarini, mentre Fiore del cielo gira a piazza del Comune e quella schiera di uomini faticando e con le mascelle serrate dicono il nome di suo padre. Occhi commossi che guardano in alto.
A cercare Santa Rosa che svetta dalla macchina. E ancora più su verso quel cielo così lontano. “Non mi aspettavo davvero – dice - che i facchini dedicassero a mio padre la girata. Dire che sono commosso fin nel profondo non rende giustizia a quello che ho provato. Loro sono quell'emozione che vediamo poi specchiata nella folla che ci chiama quando portiamo la Macchina e io stasera l'ho sentita davvero”.
Padri e figli. Come il capofacchino Sandro Rossi e il “piccolo” Andrea al suo primo trasporto. Alle corde. Alla salita di Santa Rosa. Andrea è quel figlio così emozionato che quando la macchina tocca i cavalletti davanti alla basilica scoppia in pianto e cerca le braccia del padre. Per dargli un bacio. Per dire grazie. Per dirgli ecco ce l'ho fatta. Con te ho portato Fiore del cielo a casa.
Un padre Rossi lo è per tutti i facchini li sotto. Li guida, li chiama, li incita nei momenti peggiori. Li sostiene, uno a uno, quando la macchina è al corso e il rischio di sfiorare i muri è altissimo. “I miei ragazzi – così Sandro Rossi chiama i facchini di Santa Rosa – sono stati bravissimi. Eccellenti, non hanno mai sbagliato un passo. E tutto questo è stato possibile perché le guide con gli occhi rivolti verso l'alto hanno davvero fatto tanto”.
E poi c'è Mauro Cappelloni. Che delle macchine di Santa Rosa è il babbo. Le crea, le cura, le accarezza e poi le porta in spalla. Controlla fino all'ultimo secondo che stiano bene. Non gli stacca mai gli occhi di dosso. Lo fa solo quando a capo chino “accapezza il ciuffo” per sollevare la macchina e la Santa.
Mauro è così premuroso verso Fiore del Cielo che appena giunti a San Sisto mentre tutti gli altri facchini sono già in chiesa per ricevere la benedizione in articulo mortis lui si ferma a controllare. Va sotto i pali di legno, gira intorno alla Macchina e solo allora entra in chiesa. Soddisfatto e con quegli occhi azzurri che brillano.
Un padre. Ma anche un figlio devoto alla sua Santa che continua a far scintillare i suoi occhi anche quando la fatica è troppa. Quando i denti stridono per lo sforzo e gli zigomi sono troppo tirati. “Se non fatichi non sei un facchino – racconta sorridendo a piazza del Comune mentre con un mano accarezza la sua Fiore del cielo –.
Soffrire per un amore così grande è bello. Per me portare la Macchina, dopo averla vista crescere, pezzo per pezzo, è la chiusura di un'emozione. E' la completezza. Ma è anche quel momento tutto mio, quando in ginocchio guardiamo Fiore del cielo prima di alzarla da San Sisto. E' lì che mi tornano in mente tutti i ricordi, i trasporti passati. La mia vita”.
Mauro è il babbo in ogni gesto d'affetto. Anche quando cerca di spiegare le emozioni e le passioni chiamando bambina la giornalista che cerca di afferrare il suo trasporto. Un padre è così.
I figli sono quelli che decidono di diventare Facchini a due anni. “Ero sulle spalle del babbo e nemmeno capivo che facevano – dice Danilo Dilio, terzo trasporto e primo anno ai cavalletti -, pensavo fossero dei marziani.
Poi qualcosa ti nasce e cresce dentro fino a che arrivi a 18 anni e vuoi tirare su la cassetta. Perché vuoi fare il facchino. Cassetta che non si scolla da terra. E allora ci provi tutti gli anni, perché con l'età cresce anche un sogno che per me si è realizzato.
Esser qua è anche rivedere i miei anni da bambino, quando ricorrevo la Macchina per vicoli, per vederla passare ancora, ancora...”.
Figli poi lo sono tutti, dal primo all'ultimo. Legati stretti alla loro Santa e alla loro città. Che per una notte li rende figli prediletti. “Noi – urla Mirko Fraccaro, sesto trasporto e primo anno da spalletta aggiuntiva – se 'volemo' bene come 'na famiglia”. E' vero. Altrimenti non si spiegherebbero tutti quei lunghi abbracci alla partenza, alle soste, all'arrivo. Quelle pacche sulle spalle dicono: “Insieme ce la facciamo. Insieme portiamo la nostra Santa a casa”. E insieme lo fanno ogni anno.
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