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Santa Rosa - L'altro aspetto della Macchina
Il Trasporto dei padri e dei figli
di Maria Letizia Riganelli
Viterbo - 4 settembre 2010 - ore 1,45

Il trasporto visto da Ernie Souchak
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Il trasporto visto da Maurizio Di Giovancarlo
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Il trasporto visto da Paola Pierdomenico
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Il trasporto visto da Lorenzo Galeotti e Martina Lucchesi
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La benedizione a San Sisto
Fiore del Cielo vola sui tetti
Sandro Rossi abbraccia uno dei suoi facchini
Mecarini soddisfatto, alla fine del trasporto
Renata Polverini stappa lo spumante con il presidente Meroi, alla fine del trasporto
Mauro Rotelli
Chicco Moltoni e Claudio Brachino
- Padri e figli. E legami profondi e silenziosi. Il Trasporto della macchina del 2010 è anche questo.

Sono gli occhi del presidente del Sodalizio dei facchini, Massimo Mecarini, mentre Fiore del cielo gira a piazza del Comune e quella schiera di uomini faticando e con le mascelle serrate dicono il nome di suo padre. Occhi commossi che guardano in alto.

A cercare Santa Rosa che svetta dalla macchina. E ancora più su verso quel cielo così lontano. “Non mi aspettavo davvero – dice - che i facchini dedicassero a mio padre la girata. Dire che sono commosso fin nel profondo non rende giustizia a quello che ho provato. Loro sono quell'emozione che vediamo poi specchiata nella folla che ci chiama quando portiamo la Macchina e io stasera l'ho sentita davvero”.

Padri e figli. Come il capofacchino Sandro Rossi e il “piccolo” Andrea al suo primo trasporto. Alle corde. Alla salita di Santa Rosa. Andrea è quel figlio così emozionato che quando la macchina tocca i cavalletti davanti alla basilica scoppia in pianto e cerca le braccia del padre. Per dargli un bacio. Per dire grazie. Per dirgli ecco ce l'ho fatta. Con te ho portato Fiore del cielo a casa.

Un padre Rossi lo è per tutti i facchini li sotto. Li guida, li chiama, li incita nei momenti peggiori. Li sostiene, uno a uno, quando la macchina è al corso e il rischio di sfiorare i muri è altissimo. “I miei ragazzi – così Sandro Rossi chiama i facchini di Santa Rosa – sono stati bravissimi. Eccellenti, non hanno mai sbagliato un passo. E tutto questo è stato possibile perché le guide con gli occhi rivolti verso l'alto hanno davvero fatto tanto”.

E poi c'è Mauro Cappelloni. Che delle macchine di Santa Rosa è il babbo. Le crea, le cura, le accarezza e poi le porta in spalla. Controlla fino all'ultimo secondo che stiano bene. Non gli stacca mai gli occhi di dosso. Lo fa solo quando a capo chino “accapezza il ciuffo” per sollevare la macchina e la Santa.

Mauro è così premuroso verso Fiore del Cielo che appena giunti a San Sisto mentre tutti gli altri facchini sono già in chiesa per ricevere la benedizione in articulo mortis lui si ferma a controllare. Va sotto i pali di legno, gira intorno alla Macchina e solo allora entra in chiesa. Soddisfatto e con quegli occhi azzurri che brillano.

Un padre. Ma anche un figlio devoto alla sua Santa che continua a far scintillare i suoi occhi anche quando la fatica è troppa. Quando i denti stridono per lo sforzo e gli zigomi sono troppo tirati. “Se non fatichi non sei un facchino – racconta sorridendo a piazza del Comune mentre con un mano accarezza la sua Fiore del cielo –.

Soffrire per un amore così grande è bello. Per me portare la Macchina, dopo averla vista crescere, pezzo per pezzo, è la chiusura di un'emozione. E' la completezza. Ma è anche quel momento tutto mio, quando in ginocchio guardiamo Fiore del cielo prima di alzarla da San Sisto. E' lì che mi tornano in mente tutti i ricordi, i trasporti passati. La mia vita”.

Mauro è il babbo in ogni gesto d'affetto. Anche quando cerca di spiegare le emozioni e le passioni chiamando bambina la giornalista che cerca di afferrare il suo trasporto. Un padre è così.

I figli sono quelli che decidono di diventare Facchini a due anni. “Ero sulle spalle del babbo e nemmeno capivo che facevano – dice Danilo Dilio, terzo trasporto e primo anno ai cavalletti -, pensavo fossero dei marziani.

Poi qualcosa ti nasce e cresce dentro fino a che arrivi a 18 anni e vuoi tirare su la cassetta. Perché vuoi fare il facchino. Cassetta che non si scolla da terra. E allora ci provi tutti gli anni, perché con l'età cresce anche un sogno che per me si è realizzato.

Esser qua è anche rivedere i miei anni da bambino, quando ricorrevo la Macchina per vicoli, per vederla passare ancora, ancora...”.

Figli poi lo sono tutti, dal primo all'ultimo. Legati stretti alla loro Santa e alla loro città. Che per una notte li rende figli prediletti. “Noi – urla Mirko Fraccaro, sesto trasporto e primo anno da spalletta aggiuntiva – se 'volemo' bene come 'na famiglia”. E' vero. Altrimenti non si spiegherebbero tutti quei lunghi abbracci alla partenza, alle soste, all'arrivo. Quelle pacche sulle spalle dicono: “Insieme ce la facciamo. Insieme portiamo la nostra Santa a casa”. E insieme lo fanno ogni anno.


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