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Processo Gradoli - L'arringa dei legali dell'imputato
"Esposito, troppo bamboccione per uccidere"
di Stefania Moretti
Viterbo - 28 aprile 2011 - ore 2,50


Madre e figlia scomparse
Dossier Gradoli
L'avvocato di Esposito Enrico Valentini
Il proiettore usato dalla difesa di Esposito
L'avvocato di Esposito Mario Rosati
L'imputato Paolo Esposito
L'imputata Ala Ceoban
Pierfrancesco Bruno, avvocato di Ala
Fabrizio Berna, avvocato di Ala
Il pm Renzo Petroselli
Luigi Sini, legale di parte civile
Claudia Polacchi, legale di parte civile
- "Un bamboccione incapace di uccidere".

Così Enrico Valentini descrive, nell'arringa di ieri, il suo assistito Paolo Esposito, l'elettricista accusato insieme alla sua amante-cognata Ala Ceoban di aver assassinato la sua convivente Tatiana e la figlia Elena, sparite da Gradoli il 30 maggio 2009.

Valentini difende l'imputato per oltre cinque ore, con l'aiuto di un proiettore sistemato in aula, e con tutto il fiato che ha.

Non ci sta a sentir parlare di Esposito come di un omicida senza scrupoli.

L'immagine del "callido assassino" gli è stata cucita addosso dal pm Petroselli e dai legali di parte civile. Peccato, commenta Valentini, "che non corrisponda affatto a quel "bamboccione" che è Esposito. Un bambino mai cresciuto. Che inviava 400 messaggi al giorno alla sua fidanzata. Che il 30 maggio 2009 ha fatto la spola tra Gradoli e Acquapendente per tutto il giorno solo per stare qualche minuto con Ala. Slanci di cui sarebbe capace un adolescente, non certo un killer spietato".

Quella dell'avvocato è una dura requisitoria contro l'accusa, "colpevole di aver fatto indagini parziali e piatte". Era fin troppo facile puntare il dito su Esposito e il pm lo ha fatto, "tirando conclusioni affrettate e scontate come quei vecchi film americani in cui l'omicida è sempre il maggiordomo".

Una ricostruzione fatta "con i paraocchi" da "inquirenti ciechi, che hanno selezionato una pista e su quella si sono adagiati. Senza valutare ipotesi alternative: la procura ha acceso la luce su Esposito e non l'ha più spenta".

Buio totale, invece, sulla vita di Tatiana, ricostruita solo attraverso i racconti dei testimoni, "senza scandagliare più di tanto, come invece è stato fatto con gli imputati, perché così faceva comodo all'accusa".

Per Valentini quello che non è stato trovato non c'è. Il sangue non è stato lavato. Lo dice la stessa villetta di via Cannicelle: la cucina sporca, che nessuno ha pulito. Lo dicono Luciano Garofano e Giorgio Portera, "che il consulente del pm Luca Gasparollo non ha avuto il coraggio di contraddire subito, in aula. Forse perché dicevano la verità?".

E come non c'erano litri di sangue in cucina, non c'erano neanche i documenti di Elena e Tania nella famosa cartellina gialla, trovata sul letto di Elena al primo sopralluogo dell'11 giugno 2009, e spostata in un ripiano della libreria dieci giorni più tardi. "Non voglio neanche pensare di dovermi difendere da chi fa le indagini - dice Valentini -. Dovrei gettare la mia toga alle ortiche se qualche carabiniere avesse spostato la cartellina e messo dentro i documenti. Fatto sta che lì all'inizio non c'erano".

Non solo la procura ha infilato una strada senza uscita e senza prove. Ma per difendere le sue "certezze matematiche il procuratore della Repubblica non ha esitato ad accanirsi su Esposito". Gli ha tolto la figlia. I colloqui con i genitori. Lo ha "esposto al pubblico ludibrio nazionale, facendolo arrestare durante la diretta di Chi l'ha visto". Gli ha "dato il colpo di grazia con gli avvisi di garanzia notificati ai genitori in aula, durante l'udienza".

Resta il fatto, però, che i cadaveri non ci sono e neppure il movente. L'altro legale di Esposito, Mario Rosati, lo chiede più volte alla Corte: "Che motivo avrebbe avuto di ucciderle?".

L'arringa di Rosati proseguirà alla prossima udienza del 4 maggio. Valentini, invece, ha presentato la sua richiesta: assoluzione in via principale perché il fatto non sussiste; in via subordinata per non averlo commesso. "La vita di Esposito è nelle vostre mani - ha poi concluso l'avvocato, rivolgendosi alla Corte -. Ricordatevene quando sarete in camera di consiglio a decidere se condannarlo o assolverlo".


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