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Processo Gradoli - Continua la lettura dei messaggi in aula - L'imputata in lacrime davanti alla Corte
Sms, Paolo ad Ala: "Tocca ammazzalla"
Viterbo - 19 febbraio 2011 - ore 17,30


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Madre e figlia scomparse
Dossier Gradoli

L'imputata Ala Ceoban si commuove in aula
Per un'ora non ha battuto ciglio. Poi, all'ennesima domanda, è crollata, scoppiando in lacrime davanti alla Corte.

Ala Ceoban, imputata al processo Gradoli, è tornata in aula questa mattina. Una deposizione lunghissima, la sua, andata avanti per oltre quattro ore.

L'accusa ha ripreso il filo dal punto in cui si era interrotto ieri mattina, e cioè dagli 11mila sms che Ala ha scambiato con il suo amante e coimputato Paolo Esposito, tra il giugno e l'ottobre 2007. Gli stessi sms in cui si parla di sua sorella Tatiana come della "stro". La "stronza", secondo l'accusa.

A confermarlo è proprio Ala che, in uno dei messaggi, svela i nomi in codice usati da lei e da Paolo per riferirsi a Tatiana e ad altri loro conoscenti. "Ma come, non ti ricordi? - avrebbe scritto la ragazza a Esposito - La "str è mamma (Elena Nekifor, ndr). La stro è Tania".

E soprattutto della stro, i due amanti parlavano spesso, nel loro fiume di messaggi. Come in quelli sulla maga moldava, alla quale si era rivolta Ala nel 2007. "Verso maggio - racconta l'imputata - sono andata per gioco, con un'amica, da una cartomante, che mi ha detto che avevo il malocchio. Per toglierlo avrei dovuto bere un vino con una radice dentro. Io non credo a queste cose... ma ho voluto provare. Se lo bevevo un cucchiaio al giorno, il malocchio andava via e veniva alla persona che me lo aveva fatto".

Evidentemente Ala aveva raccontato a Esposito della maga. Lui le aveva suggerito di dirle "di legare la bocca alla stro per non dare fastidio a noi". Meglio ancora se la santona fosse riuscita "a farla sparire dall'Italia per sempre. E se le lega lingua e cervello, la pago anche di più".

Ala si giustifica: "Non ho scritto io quel messaggio". E non ha scritto lei nemmeno il successivo, inviatole da Esposito: "Tocca ammazzalla, perché lei non ci andrà mai via dall'Italia". "E' un'espressione... non è una minaccia...", spiega Ala. E cerca di gettare acqua sul fuoco, avanzando "dubbi su alcune frasi" che le sembrano "senza un filo logico".

Anche secondo il pm, però, la ricostruzione di Ala manca di logica. Ieri aveva detto che la storia con Paolo era iniziata nel 2006. Ma, in uno dei soliti messaggi, Ala scrive che sono quasi quattro anni che stanno insieme. I conti non tornano. "Allora avete cominciato a frequentarvi nel 2003, e quella di ieri era una bugia...?", chiede il pm. "No - ribatte Ala - intendevo che erano quattro anni che ci conoscevamo...".

Negli altri messaggi si parla ancora della stro. Di farle prendere un infarto, facendosi trovare a letto insieme. "Sicuramente non erano fatti reali... è un modo verbale - spiega Ala, nel suo italiano, a volte stentato -, un modo di dire, non so come spiegarmi...". E infatti non spiega. Ma il pm va avanti. E tira fuori un altro messaggio, verosimilmente scritto da Paolo.

"Quando il giudice dice che la stro è matta, io non devo fare niente. Devo solo fare l'adozione e sperare che la stro non rompa i coglioni". L'accusa incalza. Chiede chiarimenti. Quale adozione? Chi è la stro? Perché deve passare per matta?

E' a quel punto che Ala crolla. E' circa un'ora che risponde, argomenta, controbatte, spiega, con gli occhi che passano dal foglio dei messaggi, al pm, ai suoi avvocati. Continua a parlare, anche se la voce trema. "Io non mi ricordo...", dice per l'ennesima volta. Ma stavolta è come una preghiera. "Voi mi chiedete di messaggi che sono di quattro anni fa... come posso ricordare tutto?". Gli occhi sono lucidi. Le parole diventano un lamento. Poi un singhiozzo. Ala scoppia in lacrime e viene allontanata dall'aula. Dopo mezz'ora è di nuovo dentro, per riprendere la seconda parte del suo interminabile racconto.

Uscirà dal tribunale solo nel primo pomeriggio. Alle 14. Pallida e stremata. E non è ancora finita. La prossima settimana dovrà raccogliere di nuovo tutto il suo coraggio e tornare a sedersi su quella sedia, per farsi interrogare ancora dal pm, poi da difesa e parte civile.


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