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La beatificazione di Wojtyla - Giovanni Paolo II visto da un laico - Fotocronaca della visita del 1984
Il papa che guardava negli occhi...
di Carlo Galeotti
Viterbo - 1 maggio 2011 - ore 3,05


La fotocronaca della visita nelle immagini realizzate da Massimo Luziatelli
Gallery - Giovanni Paolo II a Viterbo
slide
Fotoalbum a colori
Tutti i discorsi che Giovanni Paolo II fece durante la visita a Viterbo

- Un papa che guardava negli occhi gli uomini e la Storia.

Un papa aspro, ma di una densa umanità che si vide anche nella visita a Viterbo dell'84.

Ad iniziare dall'incontro nel carcere di santa Maria in gradi con un discorso ai detenuti di grande caratura umana, pastorale e teologica. Anche in quel caso guardò quegli uomini negli occhi. Disse di non poter donare loro la libertà. Ma che confidassero “in Gesù, il nostro liberatore”.

Parole sempre forti, tanto pregnanti da non lasciare indifferenti.

La giornata viterbese rivelò per l'ennesima volta la straordinarietà del personaggio.

A piazza del Comune sbagliò anche il nome della patrona, ma nulla poteva fermare la forza comunicativa di un uomo che in molti percepivano come diverso da tutti i papi precedenti.

Un papa che aveva lavorato in fabbrica, che aveva subito la dittatura comunista, che amava la poesia e il teatro. Un papa che andava in montagna, che sciava.

Insomma un uomo vero, con tutte le dimensioni di un uomo vero, come avrebbe detto Emmanuel Mounier.

Non un papa diafano. Non un papa impalpabile. Ma vero. In carne, ossa e sentimenti. Capace di dolore. Di dolore fisico dovuto alla malattia, che lo ha colpito negli ultimi anni di vita.

Certamente Giovanni Paolo II rimarrà nella storia per aver contribuito in modo decisivo a far implodere l'impero sovietico, ma forse l'aspetto teologicamente più profondo della sua vita è stato proprio quello di far tornare umana la figura del pontefice. E proprio per questo più vicino alla figura del Cristo.

Un aspetto che colpiva e colpisce anche i laici.

Non è un caso che si instaurasse un forte rapporto di amicizia con un presidente della Repubblica come Sandro Pertini.

Due uomini che sapevano parlare alle persone, senza infingimenti.

Un papa, Giovanni Paolo II, capace di grandi gesti e, come tutti i giganti della storia, di grandi errori.

Il papa che veniva dal freddo non comprese la Chiesa latinoamericana. La Chiesa dei poveri. La teologia della liberazione che combatté con durezza.

Il papa che aveva vissuto il comunismo non poteva lasciare spazi a miscele tra cristianesimo e marxismo. E questo oggi è più che comprensibile.

Ma rimangono immagini incomprensibili ed errori che appaiono ancora oggi.

Nella sua visita in Nicaragua, incontrò il monaco trappista e poeta, Ernesto Cardenal, ministro del governo sandinista.

Il monaco, in là con gli anni, barba e capelli bianchi, sale sul palco si inginocchia e fa il gesto di baciare la mano al papa.

Ma Giovanni Paolo II ritira la mano. Il tutto perché Cardenal non aveva ubbidito, quando il papa gli aveva intimato di lasciare l'incarico di ministro nel governo rivoluzionario.

Lo stesso papa che non ebbe dubbi nel dare la mano a un dittatore sanguinario come Augusto Pinochet, la ritirava a un mistico come Cardenal.

Il pontefice non comprese quella Chiesa. E quella Chiesa non comprese quel papa.

Ma mi disse, in una intervista, un intellettuale e teologo domenicano del livello di Frei Betto (al secolo Carlos Alberto Libânio Christo): “Voi europei mi fate sempre domande sul papa, ma la Chiesa non è il papa. La Chiesa sono i nostri poveri”.

Come dire due strade che potevano incontrarsi ma che la storia non fece incontrare.

Ma forse un papa che veniva dall'altra parte della cortina di ferro non poteva capire una realtà tanto diversa.

Un ultimo episodio va ricordato di questo comunque straordinario papa. Un episodio ancora viterbese.

A piazza del comune, la sera del 27 maggio 1984, Wojtyla assiste, dalla finestra riservata da sempre ai papi, allo straordinario trasporto della macchina di Santa Rosa sotto la pioggia battente.

Uno spettacolo incredibile in primo luogo per i viterbesi che sanno bene che sotto la pioggia la macchina non si porta. Ma c'è il papa e Celestini e i facchini trasportano la macchina Spirale di Fede  di Palazzetti Valeri.

La pioggia cade sulla macchina e sui bicchierini a fiamma viva che la illuminano frammentandosi in scintille d'acqua. Una visione impressionante.

Il papa capisce la straordinarietà dell'evento e rivolgendosi ai facchini solleva il pugno chiuso dicendo: ”I facchini sono uomini forti!”.

Un gesto fuori da ogni schema. Un gesto che taglia la piazza. Un gesto che è pura comunicazione. E che solo un papa di quella pasta poteva fare.

Oggi ci sarà la beatificazione di Giovanni Paolo II, ma me, da laico, piace ricordare l'uomo. Semplicemente.


La beatificazione di Wojtyla - La visita di Giovanni Paolo II il 27 maggio del 1984 - Fotocronca
"Valeva la pena per un Papa di venire a Viterbo"
di monsignor Salvatore del Ciuco
Viterbo - 1 maggio 2011 - ore 1,30


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