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Processo Gradoli - Atti trasmessi alla Procura per indagare sulle presunte pressioni subite da Esposito
Spunta il "terzo amore" di Tatiana
Viterbo - 26 marzo 2011 - ore 2,00


Madre e figlia scomparse
Dossier Gradoli
L'imputato Paolo Esposito
L'avvocato di Esposito Enrico Valentini
L'avvocato di Esposito Mario Rosati
L'imputata Ala Ceoban con i suoi avvocati Pierfrancesco Bruno e Fabrizio Berna
Il pm Renzo Petroselli
L'avvocato di parte civile Luigi Sini
L'avvocato di parte civile Claudia Polacchi
- Paolo Esposito. Gioacchino Catalucci. E ora il terzo uomo. Quello con cui Tatiana "aveva una relazione, che incontrava a Viterbo e riempiva Elena di regali".

E' lo stesso Paolo Esposito a riferirlo, durante l'ultima udienza del processo Gradoli.

Secondo l'imputato la sua convivente Tatiana, scomparsa con la figlia Elena a maggio 2009, frequentava un uomo da qualche tempo. Ma non Gioacchino Catalucci, uno dei testimoni che, in passato, fu indicato come "fidanzato di Tania" (cosa che Catalucci ha smentito in aula). Si tratterebbe di un'altra persona, della quale Esposito dice di non conoscere il nome. Sa solo che la loro storia era arrivata a un bivio e che dovevano decidere se portarla avanti o meno. Magari andando a vivere insieme, come suggerisce l'imputato.

Eppure, ai giudici i conti non tornano. Tant'è che il presidente della Corte d'Assise Maurizio Pacioni sente il bisogno di intervenire. "Ma non le sembra contraddittorio quello che dice? - domanda a Esposito - Sin qui, ha sempre sostenuto che Tatiana avesse una storia con Catalucci. Ora ci viene a dire che voleva prendere casa con un altro?". "Ma con Catalucci non c'era niente - si corregge Esposito -. Lei voleva sposarlo per interesse. Perché così, in futuro, avrebbe preso la sua pensione di ex militare dell'aeronautica".

Particolari non certo irrilevanti. Che avrebbero potuto delineare un nuovo scenario sulla sparizione di Tatiana ed Elena. Un quadro alternativo a quello accusatorio. Soprattutto se è vero che, proprio a maggio 2009, la relazione tra Tania e il suo misterioso spasimante era a una svolta. Eppure Esposito non ne ha fatto parola finora. "Perché?", gli chiede l'avvocato di parte civile Luigi Sini. "Perché non volevo" risponde, laconico, l'imputato.

Il punto sul quale gli avvocati di Esposito insistono, però, è un altro. E cioè, quel che successe il primo luglio 2009, quando l'elettricista di Gradoli fu fermato e arrestato con l'accusa di aver ucciso Elena e Tania e di averne nascosto i corpi.

Di quel giorno, l'imputato ricorda che i carabinieri, il capitano Ciervo, il brigadiere Mingione e altri due militari, lo passarono a prendere al mattino, dicendogli di seguirli perché doveva essere interrogato dal giudice.

"Una volta in macchina - racconta Esposito - hanno iniziato a urlarmi nelle orecchie che era meglio per me se confessavo, visto che rischiavo l'ergastolo, e che dovevo dire dove avevo nascosto i corpi".

Il cellulare di Esposito squilla più volte durante il tragitto. E' il suo avvocato Mario Rosati, che cerca di parlargli. "Non ho potuto rispondere - spiega l'imputato -. I carabinieri mi hanno spento il telefono".

Un atteggiamento oppressivo, specificherà poi Esposito, tenuto non solo dai militari, ma anche dal pm Renzo Petroselli, durante uno degli interrogatori precedenti l'arresto. E' in quell'occasione, a giugno 2009, che il sostituto procuratore avrebbe detto a Esposito che "era già stato interessato il tribunale dei minori". Una frase che non risulta dalle trascrizioni, ma che la difesa non ha alcun dubbio che sia stata pronunciata a titolo di minaccioso ultimatum: o Esposito si decideva a confessare, o gli sarebbe stata tolta la bambina.

Lo stesso trattamento, secondo le difese, sarebbe stato riservato anche ai genitori dell'imputato, Enrico e Maria Esposito, cui Petroselli avrebbe detto di "sbrigarsi a preparare le valigie" perché, a breve, sarebbero finiti a Mammagialla anche loro.

Accuse gravi, che hanno spinto la Corte ad approfondire la questione. Il presidente Pacioni ha disposto, quindi, la trasmissione degli atti alla Procura, per indagare su quanto riferito da Esposito.

Se le pressioni descritte dall'imputato risultassero vere, i quattro militari chiamati in causa da Esposito, tra cui l'ex comandante della compagnia dei carabinieri di Viterbo Marco Ciervo, dovrebbero rispondere dell'accusa di violenza privata. In caso contrario, Esposito sarebbe perseguibile per calunnia. Quanto a un presunto atteggiamento persecutorio di Petroselli, sarebbe l'autorità giudiziaria di Perugia, competente per territorio, a dover accertare, in un secondo momento, un'effettiva responsabilità del sostituto procuratore.

La seduta è stata aggiornata a venerdì prossimo, per ascoltare i periti e i consulenti di parte e l'ultimo testimone, il maresciallo Prisco Villani che, in uno dei sopralluoghi nella villetta di Cannicelle, trovò la cartellina con i documenti di Tania ed Elena.


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