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Viterbo - Cambio di denominazione in un famoso quadro del Murillo
Lo strano caso di Santa Rosa che diventa Santa Rosalia
Viterbo - 12 giugno 2010 - ore 1,30

Riceviamo e pubblichiamo - Può un quadro universalmente conosciuto, esposto in un museo importante, cambiare improvvisamente l’indicazione del soggetto rappresentato, sostituendo quello vero con uno falso?

Ebbene, cari amici viterbesi, la cosa teoricamente impossibile è tuttavia avvenuta ed il famoso quadro di Bartolomé Esteban Murillo che raffigura S. Rosa inginocchiata accanto alla Madonna mentre offre due rose al Bambino è diventata... S. Rosalia da Palermo!

E’ incredibile: non solo dappertutto su internet, ma perfino nel rinomato museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, dove è esposto il quadro, S. Rosa ha acquistato la cittadinanza onoraria siciliana, insieme ad un nuovo nome!

La cosa è inspiegabile. Un ente culturale non può seriamente introdurre modifiche senza prove sicure che portino a correggere un errore, e queste prove non possono esistere perché conducono tutte a S. Rosa. E’ più facile pensare ad un atto fraudolento. Sembrerebbe esistere una pianificazione ed una copertura. Insomma: è giallo.

Quando la cosa mi è stata comunicata da un’autorevole ispanista che collabora con l’Università di Roma Tre, credevo che scherzasse; quando l’ha saputo Suor Chiara, archivista del Monastero di S. Rosa, si è messa a ridere. Il quadro costituisce infatti da trent’anni il logo della carta intestata del Convento. Ma c’è poco da ridere. La falsificazione, per quanto insostenibile alla prova dei fatti, è avvenuta veramente.

Si deve dunque sapere che il quadro del Murillo, ancora in occasione dell’esposizione sui “Maîtres Anciens” del 1982 al Palazzo delle Belle Arti di Parigi, portava la dizione corretta: “La Vergine e i Santi appaiono a Santa Rosa”, con riferimento al relativo episodio narrato nelle più antiche biografie. Il quadro mostra una fanciulla in abito francescano, legato in vita col tipico cilicio, come viene costantemente effigiata S. Rosa.

Al contrario, S. Rosalia era un’eremita raffigurata con indumenti delle più svariate fogge e colori, senza alcuna relazione con gli ordini francescani. Sullo sfondo del quadro si vede poi una figurina che predica in piedi su una roccia. Anche questo episodio appartiene alla vita e all’iconografia di Rosa e non a quella di Rosalia della quale, peraltro, non si sa praticamente nulla, ma certamente non era una predicatrice.

Rosa era alta solo m 1,52 come consta dai nastri che ne misuravano la statura e che erano conservati come reliquie dopo essere stati posti a contatto con il corpo della Santa. In occasione della predicazione tenuta al ritorno dall’esilio, Rosa, dunque, per poter emergere fra la folla, era salita su un masso che, narra la storia, si era sollevato da terra a formare un pulpito miracoloso: “...dictus lapis miraculose se levabat et inclinabat...” si legge, per esempio, in una delle testimonianze del processo di canonizzazione. Questo e null’altro è raffigurato nello sfondo del quadro e dunque non può trattarsi di S. Rosalia.

Un altro bellissimo esempio, e prova ulteriore che non è possibile alcun riferimento diverso da Rosa, è la pittura di Sebastián Gómez che si trova nel museo di Salamanca. Questa grandissima tela di m 3.0x2.2 , dipinta nel 1690, ripetendo quasi esattamente il particolare del quadro del Murillo, raffigura appunto la Santa, a dimensioni più che naturali, mentre predica con il braccio levato, dominando la folla, in piedi sulla roccia che si è sollevata al di sopra delle teste dell’uditorio. Non è dunque possibile fare confusione.

La fama di Rosa nell’area iberica è attestata anche da altri quadri. Ricordiamo, per esempio, “L’ultima Comunione di S. Rosa da Viterbo” di Juan Antonio de Frías y Escalante, dipinto verso la metà del ‘600, e conservato al Prado di Madrid. Resta invece da dimostrare qualunque interesse, all’epoca, per la santa palermitana. Nel 1600, S. Rosalia era infatti praticamente sconosciuta fuori dalla Sicilia e tutti i testi affermano che il suo culto era appena in ripresa dopo una lunga fase di forte declino.

La devozione per Rosalia aveva incominciato a tornare in auge soltanto in occasione dell’epidemia di peste del 1575-76, che si riteneva terminata per intervento miracoloso della Santa, ma si deve attendere il 1624 per vederla nominata patrona di Bivona, un piccolo paese in provincia di Agrigento, anche se fu canonizzata dopo pochi anni.

Al contrario, nel ‘600, oltre alle raffigurazioni di S. Rosa venivano stampati libri molto importanti che ne narravano la vita. Ricordiamo le due edizioni, del 1615 e del 1665, del “Compendio della meravigliosa vita, morte, reliquie e miracoli di Santa Rosa da Viterbo” di Alonso de Guzmán, entrambe stampate a Viterbo da Diotallevi in lingua spagnola, seguite immediatamente, tanto era l’interesse per Rosa, da un’edizione madrilena del 1671, di cui una copia era conservata fra le opere della biblioteca di Ana María Velasco y de la Cueva, decima contessa di Siruela, morta nel 1680.

L’altra importante biografia, intitolata: “Rosa francescana. Trattato della prodigiosa vita della vergine S. Rosa da Viterbo, figlia professa del venerabile ordine terziario di penitenza del nostro padre serafico S. Francesco”, scritto dal Padre Manoel do Sepulchro, era stata stampata a Lisbona, nel 1673, in lingua portoghese.

Il volume di Guzmán riporta una bella incisione che raffigura lo stesso soggetto illustrato nel quadro del Murillo. L’incisione, stampata nel 1665, risulterebbe anteriore al quadro che si stima sia stato dipinto fra il 1666 e il 1668. Il libro, come abbiamo visto, era così diffuso che i Cappuccini, per il cui convento di Siviglia era stato commissionato il quadro, ne possedevano certamente una copia ed è evidente che Murillo vi si è ispirato, riproducendo l’incisione specularmente, ma in forma quasi identica.

Nell’incisione, un cartiglio in basso indica chiaramente che si tratta di S. Rosa da Viterbo e si capisce come il pittore, sia potendo leggere direttamente la storia di Rosa, oppure su richiesta degli stessi Cappuccini, abbia inserito sullo sfondo la scena della predicazione, episodio famoso che riporta indiscutibilmente alla santa viterbese.

Non dimentichiamo che il culto di S. Rosa nel ‘600 era già arrivato trionfalmente perfino nelle colonie dell’America latina ed era, per i Francescani, uno strumento potente di evangelizzazione delle popolazioni autoctone. E mentre Gregorio Vásquez de Arce y Ceballos, considerato il padre della pittura colombiana, dipingeva: “Il miracolo di S. Rosa da Viterbo”, conservato nel museo del Seminario conciliare dei Gesuiti di Bogotà, nel 1670 una vedova e le sue tre figlie, decidendo di vivere seguendo l’esempio di S. Rosa, suscitavano tale consenso di popolo che, in pochi anni, poterono dar vita, nella città di Querétaro in Messico, al Real Collegio di Santa Rosa da Viterbo con il magnifico tempio considerato capolavoro assoluto di arte barocca.

In questa temperie, anche se non si avessero le prove documentali e le conferme iconografiche, sarebbe assolutamente impensabile che ad Esteban Murillo, che in campo religioso lavorò esclusivamente per gli ordini francescani, i Cappuccini di Siviglia avessero commissionato di raffigurare, invece della terziaria S. Rosa, una eremita che viveva in una grotta e che con l’ordine non aveva relazione alcuna.

Mentre stiamo cercando di seguire le tracce di chi, come e perché, ha compiuto il misfatto e di ristabilire chiaramente la verità delle cose, abbiamo preso contatto col museo Thyssen ed incominciato ad inviare alcuni documenti. Vedremo come andrà a finire, ma pur nella assoluta certezza di possedere tutti i necessari elementi probanti ed indiscutibili per sostenere la verità dei fatti, non ci sentiamo tranquilli; la cosa è troppo grossa perché si possa trattare di un semplice errore e non sarà facile individuare e smascherare chi manovra nell’ombra per attribuire a S. Rosalia quello che legittimamente appartiene a S. Rosa.

Nel firmare questo articolo devo ricordare che, con contributi diversi, ma con uguale spirito, mi hanno aiutato: Pedro Gonzalez Redondo, Giovanni Faperdue, Paola Macchioni, Mario Pietrini, Angioletta Tiburli, Luisa Selvaggini, e, prima inter pares, Suor Chiara, fedele e competente custode di molte memorie documentali di Santa Rosa.

Alessandro Finzi


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