Viterbo 18 febbraio 2005 - ore 20,17 - Comprendiamo il nervosismo di Antonio Filippi, che ultimamente ha visto andare in fumo alcune sue velleitarie ambizioni e pertanto le farneticanti dichiarazioni sul voto parlamentare dellon .Fioroni circa il rifinanziamento della missione in Iraq le archiviamo nella cartella A ruota libera in cui raccogliamo esternazioni di questo genere e dove, in questo contesto sì, la leadership di Filippi è indiscussa. Alcune precisazioni in merito però vanno fatte. La scarsa dimestichezza con organi collegiali porta Filippi ad ignorare lesistenza di tre possibilità di voto: si può essere favorevoli, contrari oppure ci si può astenere. Lastensione come metodo parlamentare nel caso specifico ha una particolare valenza.
Nonostante lala estrema dellUnione continui a sostenere posizioni irragionevoli, cè una parte, anche consistente del centrosinistra che vuol dare alla coalizione una poltica estera e di difesa. Cè una parte del centrosinistra che fa politica sul serio e capisce che politica è prendere atto dei cambiamenti, cercare di governarli, far fronte ad esigenze nuove. Politica è capire che le cose si muovono e occorre dare risposte nuove a domande nuove. Gli oltre otto milioni di elettori iracheni hanno dimostrato, con le loro dita inchiostrate, che in Iraq una svolta cè stata, che è possibile, in Iraq costruire una democrazia, mettere fine a quella che si vuol far chiamare guerriglia è che invece si legge terrorismo.
La piattaforma pacifista, che tanto ha dato alla cultura democratica del nostro paese, non può non prendere atto che le cose stanno diversamente. Che quelle dita sporche di inchiostro di donne e uomini iracheni sono un segno di libertà, forse il segno di libertà più importante che ci sia in questo inizio di millennio, un simbolo che, come la caduta del muro di Berlino, come il plebiscito del 1988 che sancì la fine della dittatura in Cile, passerà alla Storia .
La domanda di libertà che sorge dal nuovo Iraq è talmente forte da diventare per tutti noi un monito: non basta dire no alla guerra, non basta sbandierare il vessillo pacifista. La pace, ce lo insegna la storia, si costruisce giorno per giorno, passaggio per passaggio. Non sempre si trovano governanti capaci e dotati di raziocinio che, come avvenuto in Germania con Adenauer e in Italia con De Gasperi, siano in grado di far rinascere un paese dalle macerie della dittatura e della guerra. E questa è la disgrazia di alcuni paesi, il motivo principale per cui ad oggi è difficile in quellarea geografica costruire la democrazia e la pace.
Alcune domande,a cui la razionalità e la coscienza di coloro che si velano gli occhi con lutopia di avere sempre ragione dovranno prima o poi rispondere: come è possibile che lo scatto dorgoglio del popolo iracheno non vi faccia riflettere? Dove, in Europa, la maggioranza degli elettori sarebbe andata alle urne con il rischio concreto di saltare in aria dentro un seggio? Come è possibile non capire che in Iraq ora ci sono un parlamento eletto e si sta formando un nuovo governo democraticamente dopo anni e anni di sanguinosa dittatura? Come è possibile non capire che alla luce dei nuovi eventi, è in atto un riavvicinamento fra Usa e Unione Europea e che il dialogo fra queste due forze è uno degli elementi imprescindibili del nostro agire politico?
Lepisodio del rapimento di Giuliana Sgrena ci da la cifra della differenza e della difficoltà di rapporto che abbiamo con un mondo, quello del terrorismo, che non è la voce della maggioranza del popolo iracheno, sia chiaro, ma che pone noi di fronte ad una sigla come Mujaeddin senza frontiere che assurdamente richiama nella mente di noi occidentali, troppo spesso alle prese con i mea culpa, quella organizzazione umanitaria che tanto fa giorno per giorno per popolazioni in difficoltà come Medici senza frontiere.
Alcune domande, alcune provocazioni. Un sasso nello stagno per dire che non si possono strumentalizzare vicende serie e gravi per il proprio tornaconto personale, per il gusto di far polemica verso chi si ritiene essere il colpevole dei propri insuccessi. Che non sempre chi non la pensa come noi ha torto. Che dobbiamo dare forza a quegli otto milioni di iracheni, per sconfiggere insieme quelle poche centinaia di criminali, pardon, di resistenti, come un nostro giudice assai sprovveduto ha stabilito. Che, come ha scritto un grande, il cammino si fa camminando. Soprattutto se si tratta del futuro di un popolo che ha bisogno daiuto.
Francesco Ciprini
dellEsecutivo Provinciale della Margherita