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Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Intendiamoci. La scienza non è un granitico presidio della conoscenza dove si definiscono verità assolute e apodittiche; è stata considerata tale fino ad una settantina di anni quando imperava ancora una concezione neopositivista che esaltava l’oggettività del sapere scientifico rifornendo di argomentazioni certi circoli razionalistici sul tipo del Cicap nostrano. Niente da dire, se l’oggetto di tanto rigore fossero solo i ciarlatani d’ogni natura. Il problema è che in realtà la scienza è molto meno monolitica di quanto sembri.

Basterebbe ricordare che un autorevolissimo studioso di filosofia della scienza, come Karl Popper, intende il sapere scientifico come il prodotto di una continua sperimentazione e quindi valido “fino a prova contraria”, aprendo la strada alla perenne perfettibilità della conoscenza empirica; e che una folta schiera di studiosi, tra i quali meritano attenzione i sociologi della scienza Robert Merton e Thomas Kuhn, ritiene che le verità scientifiche siano il prodotto di convenzioni stipulate all’interno di una comunità scientifica, quindi provvisorie e modificabili nel gioco di dinamiche prettamente sociali. Ricordo una battuta del mio maestro, e poi collega, Vittorio Somenzi, filosofo della scienza: “Volete una verità assoluta? Cercatevela nella religione, o nell’ideologia, ma non nella scienza”.

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Su questo cambio di direzione della scienza (non da tutti accettato o compreso, sia chiaro) ha inciso la fisica quantistica che, lavorando sia di teoria che di sperimentazione, ha praticamente escluso che si possa giungere a verità incontrovertibili di fronte alla complessità dinamica in cui siamo immersi. Il nostro Giorgio Parisi su questo ha meritato un Nobel per la fisica, e sull’argomento è utilissimo leggersi un’opera divulgativa e stimolante di Carlo Rovelli: Helgoland.

Questa lunga premessa serve per commentare la posizione e il reintegro del personale sanitario no-vax, magari ripulendo con un colpo di spugna anche le sanzioni che gli erano state inflitte.

Rispetto alle più becere teorie complottiste sui vaccini, che qui eviterò di citare per non dare spazio a persone e idee che meriterebbero l’oblio più assoluto, se non un vero e proprio confino filosofico e argomentativo, medici e infermieri no vax per lo più sostengono le proprie convinzioni su basi “scientifiche”. In preda ad una sorta di pregiudizio cognitivo, ritengono più valide le eccezioni che la normalità, così se per ventura un soggetto su centomila ha avuto problemi gravi, o letali, dal vaccino anti-Covid, per loro è già abbastanza da rinnegarne la validità. Strano. Quel medico è lo stesso che prescrive un’aspirina, sapendo che in un caso su centomila anche l’aspirina può rivelarsi letale e quell’infermiere è lo stesso che sa che con analoghe infinitesime probabilità un ago in vena può portare a dannose conseguenze.

Ma non basta. Quando si intraprende un’attività professionale o un qualsiasi lavoro si sa che, oltre a seguire dei procedimenti prestabiliti, ci si assoggetta a delle regole. Questioni di deontologia professionale, certo, ma anche di sottoscrizione volontaria di protocolli operativi e di normative organizzative senza le quali qualsiasi istituzione pubblica o privata diverrebbe una giungla dell’approssimazione e del soggettivismo più incontrollabile.

Nel caso della scienza ci troviamo di fronte al pacchetto di conoscenze più avanzato a disposizione; continuamente sottoposto a miglioramenti o anche solo a cambiamenti, ma comunque assicurato da un’ampia convergenza di saperi, pareri, esperienze, sperimentazioni, controlli, competenze, deduzioni che ne fanno, come si dice, la migliore conoscenza possibile, allo stato attuale, dei fenomeni naturali. E a questo pacchetto i membri di una comunità scientifica, soprattutto quelli che non stanno sperimentando, teorizzando, verificando ai massimi livelli, ma ne sono membri per così dire “operativi”, dovrebbero felicemente attenersi. Beninteso, non da ignare vacche condotte al macello loro malgrado, ma da responsabili attuatori delle più avanzate ed efficaci conquiste della scienza di cui fanno parte.

Di fronte alla complessità del mondo, qualche certezza funzionale il consorzio umano se la deve dare. Per guidare occorre la patente, se commetti un reato devi pagarne la pena, se apri un negozio devi avere l’autorizzazione, se vuoi essere un cittadino che usufruisce di benefici personali e collettivi devi pagare le tasse, se vuoi far parte di una associazione ne devi accettare le regole, come anche se pratichi un attività sportiva di tipo agonistico; e così se vuoi curare la gente devi seguire certi protocolli, che ti piaccia o meno. Certo, puoi anche impegnarti per il cambiamento, anzi devi; ma ci sono due modi per farlo: o dal di dentro, e allora armati di competenza vera, non di fideistiche credenze o di solipsistici atteggiamenti, o dal di fuori, e allora non rientri dalla porta di servizio esigendo dei compromessi ad personam. Specie se operi al servizio di un pubblico, di una collettività che da te si aspetta ben altro.

Detto questo, la sanatoria governativa delle posizioni dei no vax può essere interpretata solo in tre modi: o le forze politiche al governo hanno nella loro filosofia politica una concezione nuova, e discutibile, del sapere scientifico; oppure stanno pagando il corrispettivo dovuto quando, pur di raccattare voti ovunque, hanno strizzato l’occhio alla eterogenea popolazione dei no vax; o, infine, hanno voluto puntare su una riconciliazione che, cristianamente e umanamente, sarà pure edificante, ma offre impunità a chi ha messo a rischio la salute pubblica. In tutti i casi, una soluzione che crea inquietudine e che poco si concilia con il rigore che il governo sta promettendo di avere nei confronti di altri soggetti considerati quanto meno “divergent”.

Francesco Mattioli

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