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L'alambicco di Antoniozzi
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Facebook? No grazie
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 2 febbraio 2009 - ore 0,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Il maschilismo padre di tutti gli stupri
di Alfonso Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Che periodaccio...
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 11 dicembre 2008 - ore 0,15
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Centrostorico, l'Unione e... l'amianto
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 27 novembre 2008 - ore 0,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
La immaginate Elisabetta d'Inghilterra a fare battutine?
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 14 novembre 2008 - ore 1,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 6 novembre 2008 - ore 2,15
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Senza Ryan Air, un aeroporto al 30 per cento
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 30 ottobre 2008 - ore 1,20
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi da Londra
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di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 23 ottobre 2008 - ore 1,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi da Londra
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di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 16 ottobre 2008 - ore 1,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi da Londra
A vestire... impariamo dagli inglesi
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 10 ottobre 2008 - ore 1,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Gli altri siamo sempre noi
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 25 settembre 2008 - ore 1,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Mi ha detto il cigno...
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 25 settembre 2008 - ore 0,30
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Facebook? No grazie
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 2 febbraio 2009 - ore 0,30

Il cantante lirico
Alfonso Antoniozzi

- Nel settembre dello scorso anno, poco prima che scoppiasse anche in Italia il boom di Facebook anche grazie alla pubblicità fatta dai mezzi di informazione cartacei, ho pensato di iscrivermi all'ormai famoso sito di "socializzazione" con la pia intenzione di ritrovare amici di cui avevo perso le tracce e di mantenere contatti con amici che, a causa del nostro comune mestiere, non riesco a frequentare quanto vorrei.

Se in alcuni casi quello che mi ero ripromesso è di fatto avvenuto (ho ritrovato amici che non sentivo da tempo, ho avuto contatti quotidiani con amici che prima sentivo solo al telefono o via mail), dall'altro canto il meccanismo del giochino mi aveva preso al punto tale da sviluppare in me una dipendenza non troppo dissimile da quella che possono indurre gli stupefacenti, l'alcool o la nicotina.

In altre parole: quando avevo un poco di tempo libero invece di aprire un libro, leggere un giornale, scrivere due righe come queste, alzare il telefono per interagire davvero con le persone che mi stanno a cuore o semplicemente fare quattro passi, mi ritrovavo a entrare su Facebook e commentare fatti e fatterelli altrui o ragguagliare gli altri sulle mie avventure e disavventure. 

Per paradosso, molti amici che prima mi telefonavano o a cui telefonavo ora erano scomparsi dalla parte "reale" della mia vita ("tanto ci sentiamo su Facebook") mentre la parte virtuale prendeva il sopravvento

Fatta questa disarmante scoperta ho cominciato a riflettere: perché esiste Facebook? Perché i fondatori del sito, di fatto, ci fanno frequentare un posto virtuale dove non solo la privacy non esiste ma dove tu stesso, spontaneamente, rinunci al trattamento dei tuoi dati sensibili? Perché, quasi per gioco, regaliamo a questi signori un catalogo preciso dei nostri gusti, delle nostre convinzioni politiche, della nostra rete di amicizie, di quello che ci piace o non ci piace, di quello che vorremmo o non vorremmo acquistare? E perché non è possibile cancellarsi da facebook, ma solo disattivare il profilo?

E ancora: perché in quattro mesi ero arrivato a trecento amici ma in realtà restavamo in contatto solo con dieci, quindici persone al massimo?
E perché altrettanti mi chiedevano amicizia solo perché, forse, ci eravamo visti una volta dal tabaccaio, o incontrati durante una cena ci eravamo detti buonasera?

Questa sorta di social forum virtuale non sarà mica, in fondo, niente altro che un modo per affermare virtualmente la nostra e la loro esistenza e di vantarci del nostro capitale di amici come una volta alcuni si vantavano del loro capitale bancario? E, in alcuni casi limite, un mezzo per poterci vantare di essere amici di qualcuno in particolare, anche se lo abbiamo conosciuto solo virtualmente e se ci incontrasse per la strada manco ci riconoscerebbe?

Ma soprattutto: perché ho speso ore del mio tempo (che non mi verranno restituite) a cercare una frase carina da mettere sul profilo, a vedere se qualcuno l'avesse commentata, o se le mie opinioni fossero condivise o meno?
E perché spendevo ore a fare quiz creati da altri utenti che mi dicessero a quale personaggio storico somigliavo, o quale sarebbe stato il mio quoziente emotivo, o quale personaggio disney dormiva dentro di me?

In che razza di giochetto perverso e sottilmente narcisista mi ero andato a cacciare?

Come si dovrebbe sempre fare un attimo prima di cadere piedi e mani dentro una dipendenza, ho chiuso il mio profilo di Facebook con la chiara intenzione di riappropriarmi di tutte le ore che avevo perduto, col pensiero fisso su tutti i milioni di utenti che, come avevo fatto io, ogni giorno continueranno a sedersi per ore  davanti a una tastiera scambiando masse di informazioni su un sito che, come dice intelligentemente una vignetta trovata su internet, sta alla socializzazione come la masturbazione sta al sesso.

Ho alzato il telefono, ho parlato con un po' di gente che non sentivo da tempo, gli ho chiesto come stavano, ho detto loro che mi mancavano e che ci saremmo visti presto. Poi sono andato a cena con due miei colleghi conosciuti qui a Torino, e abbiamo chiacchierato fino a tarda notte. Ora ho due amici in più.

Sarà forse una distorsione mentale dovuta alla mia generazione e a come abbiamo vissuto fino all'avvento della telematica di largo consumo, ma continuo a esser convinto che spegnere il computer e uscire di casa sia l'unico modo per riappropriarci della vita reale, magari fischiettando di tanto in tanto una vecchia canzone di Gaber "bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo".

Alfonso Antoniozzi

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