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Il caso Englaro tra media e istituzioni - ll corsivo di Bruno
Anch'io napolitano...
di Severo Bruno
Viterbo - 9 febbraio 2009 - ore 1,30

Severo Bruno
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- I fatti di cronaca impongono una ulteriore riflessione sul caso Englaro, al centro di una scomposta campagna politico-istituzionale, al di là e contro ogni rispetto del caso umano.

Anzi, sembra più il pretesto di uno scontro politico e di una contrapposizione laico-cattolica, che il dolorosissimo evento di quella famiglia e delle persone coinvolte. Ma la progressiva maturazione mediatica della notizia è così marcata, che diventa naturale purtroppo considerarla anche un falso obiettivo.

Provo a giustificare questa fastidiosa e grave sensazione.

Non la qualità della vita artificiale della ragazza, infatti, né la sua morte sono al centro del dibattito, ma la gazzarra peggiore si è accesa sulla pronuncia giudiziale che ha riconosciuto legittima l'interruzione delle cure indispensabili per la sua sopravvivenza, provvedimento preso nella osservanza delle leggi esistenti, non in base a principi de iure condendo, e confermato dalla Cassazione.

Non la maestà della legge, quindi, ma la forza di un pregiudizio antilegalitario condiviso presuntivamente dalla maggioranza della “ gente “, costituisce l'oggetto del contendere.

Per quanto possa sembrar strano, vi è un precedente cui far riferimento, e si tratta di un tristemente noto episodio di brutale violenza carnale, diventato l'emblema dell'insicurezza della città di Roma e della incapacità delle autorità politiche, giudiziarie e di polizia di farvi fronte, il tutto a pochi giorni dal voto amministrativo, i cui risultati premiarono gli autori di quella campagna politica.

Anche allora, come nel caso Englaro, il controllo di legalità fu apparentemente trasferito lontano dagli organi ad esso deputati, a beneficio della “gente” e del presunto suo volere. Anche allora il grande politico apparve come colui che aveva in mano le soluzioni di tutti i mali così come nel caso particolare.

Siamo forse, anche nel caso Englaro, dinanzi ad una cinica strumentalizzazione propagandistica nell'ambito della progressione populistica plebiscitaria, che sta tanto a cuore a certi politici?

Se così fosse di tratterebbe di una magistrale operazione pubblicitaria che è riuscita a trascinare la chiesa, i cattolici del PD e dell'UDC, i fedeli di Fini e buona parte della stampa, sulle posizioni decisioniste del governo. Un successo strepitoso, all'altezza dell'altro ottenuto con i rifiuti di Napoli, a ferro e fuoco prima delle elezioni e spariti subito dopo, con il consenso dei capibastone.

Nel caso in esame, è da registrare la parte che lo schieramento mediatico filo governativo ha riservato alla magistratura, alla Cassazione ed al Presidente della Repubblica, fatti apparire come organi difensori di uno stato vecchio e crudele contro la volontà della “gente” e la bontà di politici illuminati.

Se realmente di questo si tratta, mi affretto a dire che mi sento anche io “napolitano”.

Un altro pensiero però rende più grave il caso, forse così seguito per nascondere un'altra notizia più compromettente. La tanto reclamizzata riforma della giustizia, infatti, conterrebbe una piccola, seminascosta norma processuale che renderebbe non utilizzabile nei processi penali gli accertamenti e le sentenze rese anche in processi connessi.

Tradotto in volgare, significa che anche nel caso di condanna per falso e corruzione dell'avvocato Mills, nella veste di teste che sarebbe stato corrotto da Berlusconi per deporre il falso in alcuni suoi processi, la condanna non potrebbe avere alcun effetto nel giudizio contro il corruttore, perché quella sentenza non potrebbe esser richiamata né allegata, né prodotta, né su di essa potrebbe esser basata la motivazione di una eventuale sentenza di condanna.

In una parola, con questa piccola, anonima e micidiale norma processuale, sarebbe regalata ancora una volta l'impunità.

Come si vede, si tratta di un problema non secondario, eppure ad esso non è stata riservata alcuna attenzione, né per esso è stato richiesto il parere ad illustri giuristi capaci di spiegarne i devastanti effetti.

Probabilmente il motivo è che erano tutti impegnati a studiare e commentare il caso Englaro. Almeno questo è il ragionevole sospetto.
Severo Bruno

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