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L'alambicco di Antoniozzi
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Morire come si e è vissuti...
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 9 febbraio 2009 - ore 0,30

Il cantante lirico
Alfonso Antoniozzi

- Qualche anno fa, mentre mi trovavo a cantare in Texas, sono stato colpito da una forte colica renale e immediatamente ricoverato in un ospedale.

Ancor prima che i medici mi somministrassero qualsiasi tipo di antidolorifico, ho dovuto compilare una serie di moduli che mi chiedevano quale fosse la mia storia medica, le mie allergie, eventuali precedenti operazioni chirurgiche, quale fosse il mio medico curante negli Stati Uniti eccetera eccetera, un po' come succede negli ospedali italiani.

Tra i fogli che mi vennero sottoposti ce n'era però uno che non mancò di colpire la mia attenzione: mi si chiedeva come i medici avessero dovuto comportarsi in caso di aggravamento delle mie condizioni.

In altre parole, i responsabili dell'ospedale volevano che scegliessi, finché ero in pieno possesso delle mie facoltà mentali e della mia salute, che tipo di estremo conforto religioso avrei desiderato al mio capezzale (tra le opzioni c'era, ovviamente, anche la voce "nessuno"), se desideravo la rianimazione in caso di arresto cardiaco durante un'operazione, se avessi obiezioni nei riguardi delle trasfusioni di sangue, se avessi voluto essere attaccato a macchine in caso di coma e per quanto tempo avrebbero dovuto continuare il sostentamento artificiale.

Da quel giorno in avanti, se mai dovesse capitarmi di nuovo di essere ricoverato in un ospedale statunitense, il computer centrale dirà a qualsiasi medico quali siano le mie volontà e il medico in questione sarà tenuto a rispettarle, indipendentemente dalle sue convinzioni etiche e religiose e dalle opinioni di qualsiasi mio familiare.

Una semplice legge che consentisse anche a noi italiani di compilare un simile formulario e che permetterebbe ai nostri medici di comportarsi alla stregua dei loro colleghi statunitensi avrebbe sicuramente evitato l'indegna gazzarra che sta accadendo in questi giorni in seguito al caso di Eluana Englaro e che accadde qualche anno fa per Marcus Welby.

Ritengo che sia semplicemente indecoroso che tragedie come quelle di Eluana possano, in una società civile, servire da trampolino di lancio per le convinzioni altrui, religiose o laiche che siano: ognuno di noi dovrebbe essere lasciato libero di scegliere in tutta serenità se vuole vivere attaccato a una macchina e per quanto tempo senza che alti prelati, politici, intellettuali, opinionisti, gente comune o familiari abbiano la benché minima possibilità di mettere bocca sulle nostre decisioni. Le tragedie private non dovrebbero mai diventare questione di pubblico dominio.

Ai difensori tout court della durata della vita indipendentemente dalla sua qualità, e a quelli che dicono che spegnere le macchine del sostentamento artificiale equivale a sostituirsi a Dio ho una sola domanda da fare: una macchina senza il cui aiuto non si sopravvivrebbe non è forse un identico modo di sostituirsi a Dio?

La mia non vuole essere una domanda provocatoria: è semplicemente un enigma che non riesco a chiarirmi. 

Perché se prendo dei farmaci per combattere una malattia intervenendo sul corso degli eventi (e quindi mi "allungo" la vita) non commetto nulla di male, mentre commetto qualcosa di imperdonabile se istruisco il mio medico a staccare le macchine che mi alimentano artificialmente o a non rianimarmi in caso di arresto cardiaco?

L'intervento umano non è forse, in entrambi i casi, un'azione "esterna" rispetto al corso degli eventi? 

Perché è lecito e sacrosanto intervenire sullo scorrere della propria vita solo in termini di allungamento della stessa?

Nell'attesa che qualcuno mi chiarisca (filosoficamente, prego, pacatamente, e non in termini dottrinari) l'enigma di cui sopra non posso che augurarmi che l'Italia, in un sussulto di civiltà, si munisca presto di una legge sul testamento biologico che consenta a ciascuno di noi di decidere del nostro futuro di infermi chiudendo definitivamente la bocca ai giudizi altrui e dando a tutti la possibilità di morire come si è vissuti, ossia secondo le proprie credenze religiose e le proprie opinioni in termini di etica della vita.

E soprattutto nel silenzio dei media e senza schiamazzi televisivi, com'è giusto che sia di fronte al mistero della morte.

Alfonso Antoniozzi

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