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L'alambicco di Antoniozzi
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 11 aprile 2009 - ore 2,40
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi da Londra
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
A volte basta una scossa...
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 11 aprile 2009 - ore 2,40

Il cantante lirico
Alfonso Antoniozzi

- In un pomeriggio come tutti gli altri, d'improvviso la persona con cui stai parlando sbarra gli occhi e si alza dalla sedia. Il lampadario sul tavolo di cucina comincia ad oscillare.

E tu capisci subito che a una manciata di chilometri di distanza la terra sta tremando ancora.

E' soltanto una piccola eco, nulla di paragonabile a quello che deve aver provato e che ancora prova in questi giorni chi ha la sventura di trovarsi nel cuore del terremoto.

Una eco che però rende questa terribile tragedia più reale di qualsiasi reportage televisivo, forse perché siamo ormai talmente avvezzi ad osservare la realtà filtrata da uno schermo televisivo che nulla ci sembra più reale.

O forse perché c'è un limite a quanto dolore un essere umano possa sopportare e dopo aver visto giorno dopo giorno immagini di guerre, bombardamenti, stupri, violenze, carrette di immigrati trascinate dalle onde del mare, campi di raccolta profughi, omicidi, stragi, la mente preferisce mettere il suo personale schermo davanti a quello della televisione per mantenere quel poco di distacco che serve a non impazzire completamente.

Eppure il lampadario che oscilla è lì a dirci che è vero, è successo, e sta succedendo ancora.

I racconti degli amici che vivono nelle terre in cui si è scatenato il sisma sono i primi a confermarci per telefono che non c'è immagine televisiva che possa narrarci con efficacia la verità di chi, in una notte, ha perduto la sua casa, il suo lavoro, le persone che amava insieme a tutto quello che per una vita si era impegnato a costruire.

Basta una scossa della terra a ricordarci quanto effimere possano essere le nostre quotidiane preoccupazioni.

Dopo quello che è successo in Abruzzo noi che abbiamo ancora un tetto sulla nostra testa, e la fortuna di avere accanto a noi persone che ci vogliono bene, e un lavoro che ci aspetta ogni mattino non abbiamo più nessun diritto di sprecare la nostra vita in futili pettegolezzi.

La terra che trema è lì a ricordarci che potremmo perdere tutto in un attimo, e che nulla di quello che abbiamo va dato per scontato.

Una catastrofe come quella che ha colpito gli abruzzesi dovrebbe spingere tutti noi ad apprezzare i piccoli gesti quotidiani: il sorriso di chi ci ama, il pasto caldo che ci aspetta sulla tavola quando rientriamo, l'abbraccio dei nostri amici, perchè tutto potrebbe scomparire in un battito di ciglia.

L'unico modo per far fronte alla natura quando questa semina morte è ringraziarla quotidianamente per tutte le volte in cui sparge vita a piene mani e non gettare via la nostra esistenza continuando a correre dietro a cose che, come ci insegna una scossa di terremoto, non sono altro che bazzecole senza alcuna importanza perché quello che importa, davvero, è essere vivi.

E come la gente d'Abruzzo lentamente ricostruirà i propri paesi dalle fondamenta forse anche noi, lentamente e dalle stesse fondamenta, dovremmo cominciare a ricostruire noi stessi.

Alfonso Antoniozzi

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